Il Manifesto della Sesta W

 

Manifesto è un sostantivo che deriva dall’aggettivo manifesto, che vorrebbe dire di indiscussa evidenza, ma a me premono due cose: che lo si discuta, e il più possibile, e che si capisca che ha la mano dentro, la mano dell’uomo intendo.
La mano è ciò che più indiscutibilmente caratterizza le attività dell’uomo e di questo si sta parlando: di azioni qualitative degli e per gli esseri umani.

Nel rileggerlo, e vi invito a farlo, troverete che quelle del Manifesto sono frasi di stringente semplicità, ma non si possono davvero leggere e capire ai ritmi attuali, ci richiedono di rallentare, se non di fermarsi a pensare, e non sono vere, o non vibreranno, se non saranno comprese e vissute personalmente.
Il Manifesto della Sesta W parla di persone, del loro coinvolgimento, del With appunto, che è una buona prassi e un antidoto specie se rivolto a certe pratiche corrotte.
Importante per me però è che non vi si voglia scorgere quello che ancora davvero non c’è, e ve lo esplicito:

  • credo fermamente nel With, che è ascolto e coinvolgimento, ma non trasformo il with in un credo, in una preghiera da dire a mani giunte o in una entità astratta da evocare al fine di ricevere i suoi doni, come il topino dei denti o la befana… anche se è meno diffuso e ancora meno praticato, è molto concreto;
  • nel richiamarmi a delle buone pratiche, nell’auspicare nuovi modelli evolutivi che originano dalla tradizione, non voglio né posso in nessun modo ergermi a censore. Credo che questa sia la via, una scelta di vita e professionale, ma non spingerò nessuno a crederlo se non lo sente, le conversioni e inversioni di rotta deriveranno semmai solo da ciò che già c’era nelle persone e può tornare a brillare negli occhi;
  • non è un movimento, non ancora almeno e non dipende solo da me o da voi, ma di sicuro potremo forse un giorno dire che è iniziato con me e con voi;
  • non sono frasi fatte o slogan da veicolare ai convegni o ai meeting per fare propaganda e surfare sulle tendenze, ma poi tenere nei pensieri il lessico o il gergo riduzionista comune;
  • non è uno stendardo o un badge of honor da mettersi al petto per continuare a fare quello che si è fatto sinora;
  • non c’è interesse di bottega o dietrologia tornacontista, ovvero sì io ne ho fatto una professione e con queste frasi ci lavoro ogni giorno, ma ho detto “con” e significa grazie, non si tratta di trasformare queste frasi in merce, perché col manifesto si investe, ma non si guadagna niente, a meno che non si valuti il valore un guadagno, nel qual caso siete già dentro e oltre il manifesto.

Dopo circa venti anni di lavoro sull’esperienza delle persone, nel mondo delle interfacce digitali prima e più recentemente sulla qualità delle esperienze a tutto tondo, mi sono ritrovato ad un punto di svolta che mi è sembrato sempre più manifesto; appunto.

Un punto di svolta, o un cambio di visione, che era richiesto, a mio avviso, non solo a me, ma anche ai miei collaboratori, ai nostri partner e mi verrebbe da dire a tutte le persone di buon senso che ascoltano il mondo e si preoccupano di dove stiamo andando e quali pratiche siano deleterie ad uno sviluppo sostenibile, e mi permetto di dire etico delle nostre vite; o se volete, più semplicemente, umanamente condiviso.

Una svolta per tutti i professionisti che vogliono fare il loro lavoro in modo non meccanico e ritrovare in esso il valore, e forse il vero ed originale obiettivo, ovvero fare profitto generando valore per gli individui (e solo grazie a questo portare valore agli azionisti).
Penso infatti che solo chi farà una scelta radicale oggi, cioè quella di cambiare obiettivo del proprio lavoro, dal profitto al valore, potrà davvero vincere la sfida che il futuro ci sta presentando; le cose che facciamo devono avere valore reale per gli altri.

Mi capita di leggere o sentire molti contributi in cui persone stimabili si strappano i capelli per i rischi correlati alla libertà degli individui, alla conservazione dei posti di lavoro potenzialmente meglio svolti da robot o all’influenza delle intelligenze artificiali su scelte sistemiche… questo genera ansia e non so quanto colga sinceramente nel segno.
Mentre in pochi, ma per fortuna ci sono, si stanno preoccupando dei valori dell’umanità, di cosa significhi essere o esseri umani oggi, di non reificare le persone o mercificare il nostro lavoro standardizzandolo o automatizzando i nostri processi mentali. Persone che studiano, pensano e si preoccupano di recuperare o riscoprire una cultura umana non museale, ma fondante e rifondante.

Il momento è carico sia di visioni apocalittiche che di prospettive di buon auspicio, di terreni che manifestano sia grandi fenditure in faglie che si stanno staccando per franare definitivamente, come piccole aperture a germogli promettenti.

L’impressione è quella di essere sulla soglia di un cambiamento epocale.
Non è che penso che nel Basso Medioevo ci fossero i segnali chiari di una nuova era a venire e di sicuro non c’erano per tutti, ma io che mi considero certo fra quei tutti oggi però ho l’impressione di coglierle. Le transizioni storiche non vanno per gradi e con avvisi, le rivoluzioni sono strappi ma più spesso la storia procede con transizioni lente, anche quando si tratta di un cambio di paradigma, non sono capitoli di un libro che iniziano ad una pagina nuova, lo so… ma nonostante tutto ho la sensazione che si sia davvero ad un capolinea per aspetti che hanno guidato lo sviluppo economico degli ultimi 150 anni circa.

In barba alla storiografia secondo me siamo alla fine di un capitolo, e proprio come nei libri di mia figlia, forse val la pena fare una verifica e capire cosa abbiamo compreso, prima di passare al capitolo successivo, dove molto probabilmente quegli strumenti e quei concetti ci serviranno.
Sarà importante quindi scegliere bene.
Venti anni di lavoro per e con gli altri che ci portano oggi a venti frasi, che esprimono quello che in questi anni ho scoperto o ritrovato, e quello che serve, a mio avviso, sviluppare, diffondere e affermare per i prossimi venti anni.
Sono venti frasi semplici, non volevo parlassero a qualcuno in particolare, e per questo spero che ciascun lettore si possa riconoscere o ritrovare in tutte le frasi, magari in qualcuna di più per consonanza diretta, in altre meno, ma che nessuna fosse dissonante, o non condivisibile e sottoscrivibile.
A questo proposito mi sono domandato se il manifesto oltre alla possibilità di essere condiviso, in un senso contemporaneo ma non solo, dovesse avere dei firmatari, e mi sono detto che sarebbe bello vedere la lista delle persone che ci si sono ritrovate e lo hanno sottoscritto appunto.
Ma alla fine, mi sono detto che la migliore sottoscrizione del manifesto sarebbe stata l’adozione dell’approccio e la realizzazione concreta di una o di tutte le frasi nella vita di ogni giorno.
Per come me lo sono immaginato, questo seme che spero sia fertile per voi potrebbe avere sei modalità di sviluppo, anche iterativo per ciascuna fase o in loop: approvazione (appropriazione), condivisione, commento, testimonianza, adesione, incontro (WITH).
Appropriazione vuol dire che sia sentito proprio, sì proprio tuo, come se lo avessi potuto scrivere tu e perciò va bene che attraverso te sia copiato e diffuso, la sua originalità sta nel tuo esserne parte… ma non tagliato e diluito, non strumentalizzato e reificato… perché possa essere da altri esploso e diffuso.

Spero che se queste parole ti risuonano tu le possa a tua volta far risuonare nella condivisione ad altri, ma quello che mi preme di più è farle suonare sempre più forte e diffusamente nella applicazione quotidiana di queste pratiche.

Questo altro non è che la vera adozione dei valori che porta avanti il Manifesto.

Grazie del tuo tempo e
buona lettura

19 settembre 2018 Christian Carniato

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TAG: experience design marketing antropologico The Sixth W approach