La bellezza è nelle parole. Ode e note all’IA Summit 2015.

Partecipo all’IA Summit dal 2007. Trento, freddo, troppo freddo. Ogni anno una comunità di persone cresce e si contamina attorno ai temi dell’architettura informativa e della user experience. Background di competenze e culture diverse guardano al futuro e divengono terreni fertili di condivisione del pensiero, della conoscenza, dei metodi.

Mai come quest’anno (Bologna, 23-24 ottobre) il livello della conferenza ha raggiunto apici di stupenda astrazione e visione. A volte tra i banchi serpeggia un pregiudizio. Lo senti a tratti pure nei tuoi pensieri, anche se sei deciso a fuggirlo. Recita più o meno così: “questo intervento è fumoso, cosa metto nella cassetta degli attrezzi che riporto a casa?!”. Poi ci torni a casa e ti rendi conto che quella maledetta cassetta la usi così tanto da diventar tu stesso un attrezzo. Uscirne ogni tanto aiuta ad allenare la mente, la creatività e (di ritorno) a creare attrezzi nuovi.

La bellezza più grande della conferenza è stata però nell’elemento più piccolo: le parole. Abbastanza ovvio se tra gli speaker trovi gente del calibro di Dan Klyn, Luisa Carrada, Luciano Floridi, Federico Badaloni (e tanti altri esclusi per dovere di sintesi). Capaci rispettivamente di architettarle e strutturarle, farle vedere e suonare come note su un pentagramma, discuterne la certezza e valorizzarne il potere dell’incertezza, destrutturarle e raccontarle in funzioni biologiche bisogno/soluzione (spero arrivino i video e le slide per permettere a chi non c’era di comprendere).

Le mie, personalissime, medaglie: d’oro a Luisa Carrada, d’argento a Federico Badaloni.

Luisa Carrada. Le parole che si vedono. E suonano.

Ho letto tanto della sua penna. Ad ascoltarla, il suo inchiostro suona un ritmo incalzante. Non voglio sporcare quell’inchiostro. Le parole chiave del suo intervento:

Libro ‘The sense of style’ di Steven Pinker.

Senso e stile.

Stile: l’uso efficace della mente umana.

To arrange: sistemare le parole.

Le parole servono ad attivare la mente umana del lettore.

Quando leggiamo gli occhi vedono parole, la mente vede immagini e sente voci.

Noi non siamo fatti per leggere, siamo fatti per vedere e ascoltare. Leggere è un’operazione artificiale, richiede un grande sforzo cognitivo.

Il verbo “permettere” è di un paternalismo totale, è nella mia black list.

La spruzzatina di colloquialità.

Ci sono tantissime parole che si possono vedere. Parole vivide.

Le parole che ci fanno vedere: concrete, precise, cose; non concetti astratti.

Le bare verbali da evitare: azione, attività, processo, approccio, intervento, prospettiva, dimensione. Si possono eliminare quasi sempre.

Mantra dei manuali di scrittura: show, don’t tell.

Semplificare la sintassi ma ricorrere a un vocabolario ricco, vivido e preciso.

Grazie alle parole precise riusciamo a far vedere di più; e ci servono meno parole.

La maledizione della conoscenza: le parole devono appartenere a chi legge, si deve uscire dalla bolla dell’esperto.

La geometria del testo di Pinker: costruire le nostre frasi creando strutture parallele. Le abbiamo ereditate dall’antichità classica, le figure retoriche che i retori antichi ci hanno regalato.

Le strutture semplificano il lavoro della mente.

Libro ‘Il parlar figurato’ di Bice Mortara Garavelli.

Libro ‘Thank You for Arguing’ di Jay Heinrichs.

Le meravigliosa costruzione del testo di Seth Godin: strutture, ritmo e figure retoriche.

seth godin promotion, demotion opportunity

Il mantra finale: economy in words, grace in style.

Federico Badaloni.  Il compositore della progettazione funzionale.

Svelato il filo musicale del post, mi sembra doveroso un paragrafo per l’architetto dell’informazione che nel tempo libero si diletta come compositore.

Nel workshop del venerdì ha raccontato le notti insonni a pensare e scrivere di progettazione funzionale. Quattro ore sono impossibili da riassumere in poche righe. Ne uscirà un libro a breve, consigliato per le biblioteche di chi pensa che un’interfaccia sia prima di tutto una conversazione.

Anche qui parole. Bellissime parole (e pure qualche attrezzo) dentro un excursus tra linguistica, biologia, biblioteconomia, information architecture, user experience, codice, SEO. Qualche nota:

Libro ‘Pervasive Information Architecture’ di Andrea Resmini e Luca Rosati.

Sistemi ed ecosistemi sono fatti di funzioni: interconnessi tra di loro e con ambienti esterni attraverso relazioni e regole.

Metafora orchestra: timpani hanno una loro funzione in relazione con gli altri.

Un sistema ha una funzione principale a cui tendono tutte le altre funzioni.

Biologia: gli ecosistemi sono sistemi con una funzione e un sistema particolare. La funzione è di far circolare un flusso di energia e materia tra sistemi abiotici e sistemi biotici. Caratteristica: mantenere un equilibrio dinamico.

La rete: abiotica (software – hardware) + biotica (persone – organismi viventi).

Eco viene da casa. Ecosistema è un sistema abitabile. Noi amiamo abitare gli ambienti che desideriamo fare nostri. Che soddisfano i nostri bisogni. Che possiamo addomesticare.

Creiamo legami con tassonomie, inventiamo moduli di sottoscrizione, addomestichiamo ecosistemi.

Noi creiamo un contesto dove persone pensano e agiscono.

Le funzioni narrative abilitano il racconto di qualcosa.

Le funzioni strutturali abilitano un’azione (commento, login, ecc.).

Dicotomia non è reale, esistono commistioni.

Esperienza è un atto cognitivo. Comprendiamo qualunque cosa con un’interazione cognitiva.

Libro ‘Sette brevi lezioni di fisica’ di Carlo Rovelli.

Noi non conosciamo una cosa in sé, la conosciamo solo attraverso un’interazione.

Una funzione è una particolare dinamica relazionale.

Il significato di un prodotto è frutto dell’esperienza di relazione con esso in un determinato ambiente e in un determinato tempo.

Il significato di un prodotto è la funzione dentro un contesto fatto di tempo e spazio. In un certo momento e in un certo ambiente.

Mantra della progettazione funzionale: progettare ambienti omogenei per funzione.

Progettazione funzionale è ciò che mette in relazione bisogni con soluzioni.

Il vero tool di progettazione è il linguaggio.

Scegliere una funzione è un atto demiurgico, creativo.

Utilizzo del linguaggio è un uso tattico, strategico perché definire una funzione è definire una relazione tra un bisogno e una soluzione.

La progettazione funzionale è (anche) content strategy.

Noi non possiamo cambiare persone, ma cambiare ambiente in cui quelle persone interagiscono.

Noi non stiamo progettando pagine, progettiamo funzioni.

Metodologia, esempi, esercizi […].

Se lo sai dire in una frase, si può fare.

Quando facciamo siti, pensiamo già a soluzioni, escludiamo bisogni e quindi smettiamo di innovare.

Mantra: una zona, una funzione.

Quando si viene meno al mantra alziamo carico cognitivo.

Mi piace più la parola “luogo” della parola URL.

I valori della SEO devono essere rappresentativi della funzione della pagina, non del contenuto.

La funzione esprime il bisogno dell’utente, su cui si basano le query.

Il title e i valori semantici sono funzioni empatiche.

29 ottobre 2015 Giuseppe Teatino