La manipolazione dei crawler e la contaminazione dei dati sono oggi tra le principali criticità del digitale. Aziende e professionisti stanno rincorrendo strategie di protezione della visibilità e della reputazione online, soprattutto con l’avvento dell’AI generativa, ma non sempre stanno effettuando manovre nella direzione corretta. D’altro canto, si stanno delineando all’orizzonte casi di concorrenza sleale.

Il digital marketing sta vivendo una trasformazione profonda. Le strategie di ottimizzazione per i motori di ricerca (SEO) e per i motori generativi (GEO) sono diventate essenziali per chi vuole emergere online. L’avvento dell’intelligenza artificiale generativa ha cambiato il modo in cui i contenuti vengono prodotti e fruiti; parallelamente a questo progresso nell’ambito della scienza, dell’ingegneria, e della tecnologia, sono venute a introdursi anche, purtroppo, delle nuove criticità. Tra queste, pratiche note come “Tarpit” e “Data Poisoning” stanno suscitando crescente attenzione.
Ma cosa significano questi termini e perché sono rilevanti per chi si occupa di visibilità digitale? In questo articolo analizziamo rischi, impatti e strategie di difesa.
Un tarpit è un sistema progettato per rallentare o bloccare i bot automatizzati, creando una sorta di “palude digitale” dove essi si impantanano. Questa tecnica viene utilizzata anche per confondere sia i crawler dei motori di ricerca sia le intelligenze artificiali che analizzano i contenuti web.
Un esempio pratico può essere una pagina web apparentemente ricca di informazioni, ma strutturata con loop infiniti di link, testi ripetitivi o un uso eccessivo di parole chiave. Questi stratagemmi possono influenzare l’indicizzazione e rischiano di portare a penalizzazioni, perdita di visibilità o esclusione dai risultati dei motori generativi. Inoltre, tali pratiche possono minare la reputazione di un brand, soprattutto se gli utenti percepiscono i contenuti come poco trasparenti o di bassa qualità.
Il tarpit non è infrequente che venga implementato sia da amministratori di siti web che desiderano difendersi da bot aggressivi, scraping e attacchi automatizzati; sia – in modo scorretto, e in questo caso può anche provenire non solo dall’interno della proprietà, ma anche molto raramente da accessi non autorizzati o hacking – da chi cerca di manipolare l’indicizzazione dei motori di ricerca, per ostacolare la concorrenza o alterare i risultati di ricerca.
L’utilizzo del tarpit come una difesa in ambiti dove la proprietà intellettuale è particolarmente sensibile è in realtà un’azione estrema, perché il tarpit basandosi su pattern di comportamento o IP, spesso non consente di distinguere con precisione tra i diversi bot. Di conseguenza, si rischia di bloccare anche crawler utili, come Googlebot, compromettendo l’indicizzazione tradizionale del sito. Per escludere l’utilizzo dei dati da parte di specifici servizi (come l’addestramento delle IA tramite il token Google-Extended), è preferibile utilizzare il file robots.txt: questo approccio permette di istruire i crawler ufficiali su quali permessi hanno, evitando blocchi indiscriminati a livello server (come il tarpit) che non distinguono tra le finalità di accesso e rischiano di compromettere l’indicizzazione nella ricerca tradizionale.
Il data poisoning è una tecnica volta a compromettere l’integrità dei dati. Consiste nell’inserimento di informazioni false o manipolate nei dataset utilizzati per addestrare le intelligenze artificiali. L’obiettivo è “avvelenare” le fonti di conoscenza delle AI, alterando le risposte che forniranno agli utenti.
Le motivazioni dietro il data poisoning possono variare: sabotaggio della concorrenza, manipolazione dell’opinione pubblica, o semplice concorrenza sleale. Chi adotta questa strategia può creare pagine con dati errati o diffondere informazioni tossiche su forum e social network, sapendo che questi contenuti potrebbero essere utilizzati durante l’addestramento dei modelli generativi.
Le conseguenze sono gravi sia per le aziende, che rischiano di vedere associate al proprio nome informazioni dannose, sia per gli utenti, che possono ricevere risposte errate dalle AI, con un impatto negativo sulla credibilità delle tecnologie stesse.
Inoltre, il data poisoning rappresenta un danno diretto anche per lo sviluppo delle intelligenze artificiali generative: dati contaminati compromettono la qualità dell’addestramento dei modelli, rendendo meno affidabili e utili le risposte fornite. In questo modo, il danno si estende all’intero ecosistema digitale, penalizzando non solo aziende e utenti, ma la collettività che sempre più si affida a queste tecnologie.
Per distinguere chiaramente tra tarpit e data poisoning, è utile analizzare i rispettivi vettori di attacco e impatti:
Questa tecnica, mutuata dalla sicurezza informatica, si traduce in manipolazioni strutturali delle risorse web. Alcuni esempi includono:
L’obiettivo è ostacolare il processo di crawling e indicizzazione, creando attriti che rendono inefficiente la raccolta dati e portano de facto a penalizzazioni algoritmiche anche nella ricerca tradizionale.
Questa strategia mira invece a minare, “avvelenare” la qualità dei dati usati per addestrare i modelli AI. Le modalità operative includono:
Il fine è compromettere la fase di apprendimento delle AI, generando bias o vulnerabilità sfruttabili in seguito, ad esempio per manipolare risposte, diffondere disinformazione o compromettere la sicurezza del sistema.
Le tecniche di tarpit e data poisoning possono avere conseguenze profonde sul posizionamento nei motori di ricerca e sulla reputazione del brand. I motori di ricerca penalizzano sempre di più chi cerca di manipolare i risultati tramite pratiche scorrette, sia in ambito SEO tradizionale che per i motori generativi.
Un rischio cardinale riguarda la percezione del brand: se le AI generative attingono a dati contaminati, possono diffondere informazioni errate, con potenziali crisi reputazionali. Non sono rari i casi di aziende che hanno subito danni economici e di immagine per campagne di data poisoning. Per questo è fondamentale adottare un approccio proattivo nella difesa della propria presenza digitale.
Anche la pratica del tarpit, pur se adottata a scopo difensivo, può generare effetti collaterali dannosi per la reputazione aziendale. Se utenti o stakeholder percepiscono che un sito ostacola intenzionalmente (o anche involontariamente: è il caso di una azione fraudolenta proveniente da terzi) la fruizione dei contenuti, o se la visibilità nei motori di ricerca viene compromessa da errori di configurazione, la fiducia e l’immagine del brand possono essere seriamente intaccate. In casi estremi, l’uso fraudolento del tarpit come strumento di sabotaggio contro concorrenti rappresenta non solo un illecito, ma anche un grave rischio reputazionale in primis per chi viene scoperto autore/mandatario di questa azione.
Per contrastare insidie così sofisticate, è necessario adottare strategie avanzate. Alcuni consigli:
La SEO e la GEO stanno cambiando rapidamente con l’avvento delle intelligenze artificiali generative e delle nuove criticità digitali. I motori di ricerca evolvono costantemente per riconoscere e penalizzare pratiche scorrette, mentre le AI generative affinano la capacità di valutare la qualità e l’affidabilità dei dati.
Questa trasformazione, se da un lato impone nuove sfide e maggiori rischi, dall’altro apre a grandi opportunità: cresce la domanda di specialisti in sicurezza dei dati, ottimizzazione per motori generativi e gestione della reputazione digitale. Investire in formazione, aggiornamento continuo e adottare un approccio etico e trasparente sono elementi chiave.
La prevenzione passa dalla conoscenza, solo così è possibile difendere in modo efficace la propria presenza digitale, senza cadere in trappole o alimentare vulnerabilità. In un panorama in continua evoluzione, la collaborazione tra competenze diverse e la capacità di anticipare i trend sono gli elementi chiave per costruire una presenza online solida, credibile e capace di resistere alle nuove insidie digitali.