MTV 1982 vs. Sky 2016: l’evoluzione dello User Generated Content

Siamo abituati a pensare che viralità e interazione con gli utenti siano proprietà dell’universo digitale e che il coinvolgimento attivo dell’audience sia successivo alla diffusione di internet e dei social media. Il parallelo fra due campagne di epoche diverse mostra invece che i meccanismi di comunicazione e persuasione alla base dei fenomeni di advertising virale sono indipendenti dal medium e dai formati utilizzati.

Premessa: non stiamo parlando della partecipazione spontanea creata da un meme su Facebook o da contenuti a base di satira, voyeurismo o tenzoni polemiche. La viralità purpose-oriented è finalizzata a specifici obiettivi di marketing e indotta negli utenti attraverso strategie di engagement e brand awareness.

In genere, una campagna di questo tipo viene lanciata con una call to action che enuncia l’iniziativa e invita l’utente a partecipare. Nei – rari – casi di successo il risultato atteso nonché principale spia o misura della viralizzazione si chiama user generated content, ovvero la produzione da parte degli utenti dei contenuti (o delle azioni) suggerite dalla CTA. I social media sono il terreno di engagement ideale, ma la nostra tesi è che un messaggio persuasivo e i contenuti che ne derivano possono assumere forme e declinazioni molto differenti.

Le 2 campagne a confronto

 


Uno degli spot di lancio per la campagna “I want my MTV!” di MTV.

1982. A un anno dall’inizio delle trasmissioni, la startup MTV rischia di chiudere. Ascolti bassi, inserzioni pubblicitarie alla canna del gas e pochissimi cable tv operator intenzionati ad acquistare la programmazione del primo canale tematico musicale della storia. Il modello di business basato sulla messa in onda non-stop di videoclip non sembra convincere nessuno: le case discografiche giurano che non investiranno mai nella produzione sistematica di materiali video, gli editori temono nuove forme di concorrenza e i possibili investitori non vedono una prospettiva di ritorno economico e non credono che l’emittente riuscirà a costruirsi un target audience. MTV implora George Lois, uno dei più grandi comunicatori nella storia dell’advertising, di creare una campagna per convincere gli operatori TV che il rock’n’roll non è l’anticristo del commercio e a non interrompere le trasmissioni. Dal suo ufficio di New York, Lois decide invece di non focalizzare la campagna sui broadcaster ma di rivolgerla direttamente al pubblico: alza il telefono e implora a sua volta la disponibilità dell’amico Mick Jagger a… interpretare il lancio della call to action.

Nasce così “I Want My MTV!”, la campagna che ha letteralmente intasato le linee telefoniche dei cable tv operator americani con chiamate di telespettatori spinti a reclamare “la loro MTV” dopo aver visto gli spot con Rolling Stones, David Bowie, Police, Madonna e tante altre star pronte a intuire il potenziale di visibilità della miracolata Music Television. I risultati? La creazione di una domanda nel pubblico dai 14 ai 28 anni per la distribuzione di massa della programmazione musicale sui network televisivi e il conseguente dietro-front degli operatori via cavo: entro pochi mesi, MTV è nelle case dell’80% delle famiglie americane.

Uno degli spot di lancio per la campagna “Le serie TV fanno parte di noi” di Sky Italia.

2016. Sky Italia lancia “Le serie TV fanno parte di noi”, campagna che chiama gli utenti a interpretare una scena della loro serie preferita e a condividere le performance con la possibilità di vincere un viaggio sul set e incontrare i propri idoli. L’idea dei creativi di M&C Saatchi Milano è quella di intercettare la nicchia dei fanatici delle serie TV, uno dei segmenti di mercato in realtà più consolidati e attivi nel commentare sui social gli show televisivi. Allo scopo vengono creati anche l’hashtag #partedinoi, catalizzatore dello user generated content, e il sito dedicato con gli estremi della call to action e un social wall che raccoglie tutti i contributi generati dagli utenti.

La call to action: esplicito via cavo vs. emozionale digitale

 

“If you don’t get MTV where you live, call your cable operator and say… ‘I want my MTV!’ ”

1982. La cta ideata da George Lois è un inequivocabile invito a richiedere la messa in onda della programmazione di Music Television! I formati utilizzati per il lancio sono una serie di spot tv in cui diverse rockstar dell’epoca pronunciano tale e quale la frase della call to action. L’effetto di invito all’azione è quindi rafforzato dalla reiterazione del messaggio e dalla presenza di elementi visivi clamorosamente espliciti come le cornette telefoniche utilizzate da Sting e Mick Jagger o le animazioni con apparecchi tv che trasmettono MTV, vera e propria raffigurazione della gratificazione che aspetta il telespettatore. Inoltre, il carattere interattivo dell’iniziativa è sottolineato dai loghi animati creati da Lois per suggerire un’identity giovane e dinamica, come il rapporto auspicato con il nascente target audience.

I Want My MTV - Police

“Le serie tv fanno parte di noi… Dimostra quanto le ami, puoi viverle da protagonista.”

2016. La CTA di Sky Italia fa appello ad aspetti emozionali che richiamano le passioni di un target audience definito e già fidelizzato (gli amanti delle serie TV), invitando i telespettatori a trasformarsi in attori, come in un’ideale enunciazione della figura del moderno prosumer. La chiamata all’azione si articola quindi in quattro possibili modalità di partecipazione: “Dillo con parole loro”, “Racconta una serie in 30 secondi”, “Riproduci una sigla” e “Mostraci la tua reazione ad uno spoiler inaspettato”.

Mentre il claim della campagna punta su un approccio emozionale-identitario, le indicazioni che definiscono concretamente come interagire non sono enunciate nel messaggio principale ma vengono dettagliate dopo che l’utente è già stato intercettato. Le quattro tipologie di engagement hanno inoltre la funzione di offrire una rappresentazione a 360° dell’esperienza del telespettatore-utente che si divide fra binge-watching e live tweeting.

Il lancio della campagna sfrutta una serie di spot TV riprodotti in video YouTube e uscite social, a cui sommare la copertura PR dell’iniziativa su blog e testate d’informazione, prevalentemente online.

Serie TV Sky #partedinoi

Il concept: ti appartengo vs. ti appartengo

Entrambe le call to action fanno leva sull’immedesimazione e sull’appartenenza identitaria. Sky dice all’utente che le serie sono ormai parte di noi, offrendo la possibilità di “vivere in prima persona le proprie serie preferite” e di diventare protagonisti immedesimandosi nei propri beniamini.

Per MTV invece il senso di appartenenza è tutto da creare (come lo stesso target audience), motivo per cui nello slogan di Lois è fondamentale l’inserimento di quel “My”, quasi a suggerire una fruizione personalizzata. Interessante come questa formula ricalchi la vecchia campagna “I want my Maypo” dello stesso autore, a dimostrazione del fatto che un modello o messaggio-tipo può funzionare anche in contesti e con destinatari differenti.

L’UGC: Facebook Posts vs. … Phone Calls?

La partecipazione all’iniziativa di Sky Italia è testimoniata dalla quantità di video realizzati dagli utenti e postati sui social media, solitamente deputati a veicolare i fenomeni virali.

Gli strumenti di comunicazione a disposizione dei consumatori nel 1982 sono la posta (non elettronica) e il telefono (fisso). Niente internet, niente Telegram o Snapchat. La cornetta sembra dunque la scelta effettivamente più interattiva fra i mezzi a disposizione. Si tratta di una forma di UGC sicuramente inusuale, perfetta per dimostrare che sono il contenuto e il modo di utilizzo a definire la funzionalità di un mezzo di comunicazione (e non le sue caratteristiche tecniche). Nel caso di “I want My Mtv!”, tutte le chiamate degli utenti mantengono invariabilmente gli elementi fondamentali della call to action: l’esatto contenuto del messaggio viene ripetuto da esponenti del pubblico in target che utilizzano il medium suggerito per far arrivare la propria voce ai destinatari attesi.

La reward: “My Goal is Your Goal”

L’obiettivo primario della campagna di George Lois prevede, attraverso la ridefinizione dell’identity e del posizionamento del brand MTV, la costruzione di un target audience che permetta… la sopravvivenza stessa del network e quindi l’esistenza commerciale del cliente committente! Il vero colpo di genio di Lois è quello di far coincidere la reward dell’iniziativa (la ricompensa promessa dal brand a chi partecipa attivamente all’azione) con l’obiettivo primario della campagna: la messa in onda di MTV, scongiurando il fallimento della stessa emittente. Un esempio di messaggio capace di trasformare i destinatari in ambassador del brand; un’azione di guerrilla mediatica che riesce a reclutare un esercito di testimonial a partire da una fascia di pubblico non ancora fidelizzata.

M&C Saatchi Milano riceve invece da Sky il compito di lavorare su dei KPI più specifici e legati proprio alla loyalty nei confronti del brand – e della sua offerta di serie TV. Un’iniziativa mirata a coinvolgere gli appassionati del genere per attivare un target audience già ampiamente fidelizzato. La reward in palio per chi partecipa alla CTA mettendo in scena la propria passione per True Detective o Game of Thrones comprende dei veri e propri premi, come la visita ai Fox Studios  o il vip pass per incontrare il cast di Gomorra. Fra i vantaggi della campagna anche l’acquisition per i social di Sky e la lead generation per chi carica il proprio contenuto registrandosi sull’hub digitale, oltre a fare branding e promuovere l’engagement degli utenti attorno a uno dei format di punta della programmazione Sky, assicurando visibilità alle nuove stagioni in programma per le serie tv più attese.

I Want My MTV! Campagna di Advertising MTV 1984

I testimonial: Influencer vs. Utenti

In origine, il termine testimonial è riferito alla personificazione del messaggio di marca in un personaggio che ne esprime i valori e che sia in grado di rappresentare il consumatore medio del prodotto pubblicizzato. I concetti di vip e influencer sono ancora in fase embrionale. In un certo senso, le due campagne in esame mostrano gli estremi opposti che la figura del testimonial può assumere, dagli utenti finali che impersonano il target medio delle serie tv alle rockstar che indirizzano lo spirito di emulazione dei fan sulla domanda di un canale musicale.

I Want my MTV!

Anche i migliori possono migliorare (col senno di poi)

Anche se siamo di fronte a due casi di successo, proviamo a identificare alcuni margini di miglioramento per le campagne prese in esame.

1982.

  • una delle critiche più condivise alla campagna di Lois riguarda la scelta di testimonial che non rappresentano la varietà etnica dell’America degli anni ’80 – e nemmeno i diversi generi musicali entrati a far parte dell’immaginario popolare;
  • un’altra facile obiezione: non tutte le campagne pubblicitarie possono disporre di un supporto incondizionato da parte di personaggi come David Bowie o Sting (nel caso specifico, nonostante il risvolto commerciale dell’iniziativa fosse esplicito gli artisti si prestarono gratuitamente per via della pregressa conoscenza con Lois, dell’empatia nei confronti degli obiettivi e delle prospettive di visibilità che avrebbero avuto in seguito).

 

2016.

  • una CTA abbastanza complessa da eseguire (scegliere una scena da recitare, registrare il video della performance e fare l’upload al sito dedicato) pone dei limiti al numero di contenuti che verranno prodotti dagli utenti;
  • la targettizzazione è forse troppo verticale sui maniaci delle serie tv, per cui rischia di escludere dall’engagement tutti quegli utenti di interesse che tuttavia non conoscono a memoria sigle o citazioni delle serie tv in questione;
  • #partedinoi è un hashtag unbranded (requisito che generalmente favorisce la viralità) ma è già molto utilizzato dall’utenza social per messaggi che non hanno a che fare con l’iniziativa di Sky, con il risultato che alcuni spazi di aggregazione riferiti all’hashtag della campagna sono invasi da contenuti non tematizzati;
  • per quanto riguarda gli elementi della cta, possiamo rilevare l’assenza di un elemento di riconoscibilità visiva nella forma-video proposta agli utenti e la mancata inclusione di un meccanismo di reciprocità (la motivazione che porta gli utenti a taggarsi a vicenda).
14 settembre 2016 Andrea Gastaldon