Woolrich, tra percezione di marca ed esperienza fisica

Coinvolgere le persone per misurare la qualità dell’esperienza in luoghi fisici e il suo impatto sulla percezione di marca: il nostro progetto per Woolrich.

 

Sentiamo così spesso parlare di logiche omnichannel, di leve e di touchpoint, di segmentazioni e di KPI. Al di là delle considerazioni legate ad un linguaggio sempre più teso al virtuosismo professionale e sempre meno vicino all’esperienza reale delle persone, il tema vero è che queste parole, di fatto, delimitano un perimetro di scelte.

Scelte che troppo spesso vengono fatte in stanze asettiche in cui cervelli, competenze e ruoli si adoperano con grande impegno a progettare qualcosa per una massa informe di clienti profilati: hanno un range di età, hanno un genere, hanno un reddito medio, hanno una collocazione precisa sulla mappa sinottica Eurisko. Vengono elaborate immense quantità di dati e si deduce cosa vogliono le persone da file densi di numeri che li rappresentano.

Ci si appoggia alle intelligenze artificiali e, senza nemmeno accorgersene, si dimenticano quelle reali. Quelle che sono lì fuori a vivere le esperienze che le aziende progettano per loro, a farsene un’idea positiva o negativa, a odiarle o a ripeterle. Quelle che, noi di TSW, portiamo ai tavoli della progettazione come persone e non come cluster, per aiutarci a disegnare esperienze migliori.

Analisi dell’esperienza fisica e del suo ruolo nel vissuto delle persone con la marca

In virtù di queste logiche, abbiamo proposto a Woolrich di fare un esperimento. Di provare a capire quale valore fosse in grado di generare il Flagship Store di Milano, al di là delle misurazioni tradizionali con cui creiamo quel confortevole cuscinetto di dati su cui basare le nostre decisioni: ingressi, scontrino medio, retention rate, eccetera. Numeri indispensabili, ma dal nostro punto di vista non sufficienti a fornirci una comprensione profonda di cosa le persone stiano effettivamente vivendo, una volta varcate le porte del negozio.

Di come si sentono, di cosa le emoziona, di quello a cui prestano attenzione e dell’impatto che questo vissuto avrà sui loro pensieri ogni volta che leggeranno il nome del brand.

Test eye tracking al Flagship Store di Woolrich

Il team Woolrich ha compreso da subito quanto valore ci fosse nel trovare risposta a questi interrogativi. Parliamo di risposte capaci di dare un esito concreto a tutti gli investimenti e a tutta la cura che l’azienda ha riposto nel creare questa esperienza, pensata come qualcosa che va ben oltre il punto vendita e che vuole invece rappresentare la marca, quello in cui crede e il valore che vuole offrire alle persone, tramite il prodotto.

Un progetto in equilibrio tra cambio di paradigma e metodologie

Il cambio di paradigma cui ci riferiamo è un ritorno alle origini molto semplice: se ciò che ci interessa è capire se un’esperienza progettata sia una buona esperienza, facciamola vivere e ascoltiamo. Aggiungiamo all’interpretazione dei dati quella dei vissuti, e usiamo le competenze non solo per dedurre, ma anche per comprendere.

Con questo principio a guidare la progettualità, ogni metodologia acquisisce nuovo senso. E riusciamo a raccontarle felicemente, queste metodologie, certi che sia chiaro a tutti coloro cui le proponiamo che il valore sta nella direzione in cui le utilizziamo, e non nelle tecnologie, nei test plan, nei report.

Il progetto ha coinvolto 40 persone. Clienti Woolrich, che conoscessero il brand e ne avessero recentemente acquistato i prodotti, e che non avessero ancora visitato il Flagship di Milano. Età, genere, reddito, poco importa. Sono persone che hanno vissuto la marca e i suoi prodotti, e hanno qualcosa da raccontare.

Skin conductance test al Flagship Store di Woolrich

Il primo passo è stato comprendere quale fosse la loro attuale percezione rispetto al brand. Per fare questo, ci siamo fatti aiutare da metodologie afferenti al mondo delle neuroscienze. Ci riferiamo al BARTT, Brand Association Reaction Time Task; un test sulle associazioni che la marca è in grado di generare con determinati valori, utile a integrare ciò che le persone dichiarano – Woolrich è sostenibile, Woolrich è al passo con i tempi, ecc. – con una valutazione precisa della forza di queste associazioni, grazie alla misurazione dei tempi di risposta.

Una volta compreso quale fosse il loro punto di partenza nella relazione con la marca, li abbiamo portati a vivere l’esperienza in negozio. I nostri ricercatori accompagnavano le persone all’interno, ne osservavano i comportamenti, interagivano con loro qualora fosse necessario approfondire alcuni aspetti. In questo caso, le tecnologie per la misurazione psico-fisiologica ci hanno aiutato ad avere un quadro più dettagliato dell’esperienza che i partecipanti stavano vivendo, di cosa attirasse l’attenzione, di cosa invece fosse in grado di generare un’attivazione emotiva, ecc.

Eye tracking e SCL test al Flagship Store di Woolrich

Conclusa la visita al negozio, le persone ripetevano il BARTT, e la differenza tra la rilevazione finale e la prima ci forniva una fotografia puntuale di come l’esperienza avesse impattato sulla percezione di marca. I valori che risultavano più fortemente connessi al brand durante il secondo test erano quelli che le persone avevano vissuto con maggiore intensità all’interno del negozio.

Un cambio di paradigma semplice, dicevamo. Avremmo potuto cercare la risposta alle stesse domande con un questionario serrato inviato a lunghe liste di utenti imbrigliati in un software di CRM, o ancora a un gruppo di mail senza nome e cognome, figuriamoci un volto, collegate a identità conformi a un set di criteri definito a tavolino.

Abbiamo scelto invece 40 persone e il loro vissuto. E sì, abbiamo usato ogni competenza specifica, metodo e tecnologia di cui siamo in possesso. Ma l’abbiamo fatto senza perdere di vista il senso vero di ciò che facciamo: osservare ed ascoltare, con l’obiettivo di comprendere come generare esperienze migliori.

User testing al Flagship Store di Woolrich

Dalla comprensione dei vissuti alla progettazione 

Nel cuore del nostro metodo c’è poi l’intento di riuscire a trarre il maggior valore possibile dallo studio delle esperienze che le persone vivono. Questo è possibile solamente non commettendo il più popolare tra gli errori: a seguito delle attività di analisi, proseguire il resto del percorso da soli.

Se le informazioni che abbiamo ottenuto sono tese a guidare una riprogettazione efficace dell’esperienza, crediamo sia fondamentale non lasciare ai blocchi di partenza il vissuto degli utenti. Coinvolgerli nel vivo del progetto, grazie alle metodologie partecipate afferenti all’universo del design thinking, e ancora a progettazione conclusa, con tecniche di validazione che combinano gli approfondimenti di natura più qualitativa alle neuroscienze, ci consente di assicurare un circolo virtuoso di trasmissione di valore che non subisca interferenze, perdite, errori.

In fin dei conti, la logica è davvero semplice e trasversalmente valida, che si tratti di ambienti digitali, servizi, prodotti, spazi fisici. Come potrebbe una qualsiasi esperienza, disegnata insieme alle persone che dovranno viverla, non essere per queste la migliore esperienza possibile?

Un’opportunità per i nostri clienti: i momenti di riconnessione

Il circolo virtuoso cui accennavamo poco fa trova la sua migliore espressione nella partecipazione di tre attori chiave: gli utenti finali, appunto; i progettisti, che analizzano, interpretano, disegnano; e, non da ultimo, il team aziendale.

In numerose occasioni, infatti, abbiamo avuto esperienza dell’incredibile valore generato dalla partecipazione dei nostri clienti alle attività che conduciamo insieme agli utenti finali. In presenza o da remoto, ascoltare e osservare in prima persona il vissuto delle persone è un’opportunità unica per dare un atterraggio di senso a ogni data sheet, performance report o strategic roadmap che riempie i nostri hard disk.

Un momento che genera una memoria diversa, capace di affiancare a fogli Excel e report sensazioni, parole e opinioni che difficilmente rimarranno relegati in un server.

16 gennaio 2023 Sofia Bellamio

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