Il mondo degli eventi, e in particolare quello del clubbing, è tra i settori più colpiti e potenzialmente più lontani da un orizzonte di ripresa a breve termine, oltre che dalla possibilità di veder riaffermati i canoni del proprio passato. Cosa accadrà, in un futuro prossimo che parla la lingua del distanziamento sociale e che scoraggia ogni attività percepita come ‘non necessaria’, a un business che vive di folle riunite, di contatto umano e di divertimento?
In questo momento, la discussione intorno alla nightlife si assesta in una nicchia distante dai confini di ciò che è ritenuto urgenza. Non ottiene menzione ai grandi tavoli che strutturano la ripresa, i suoi operatori non sanno nulla di cosa li aspetterà e, soprattutto, sembra che nessuno se ne stia preoccupando.
Eppure, parliamo di un business con numeri considerevoli: gli ultimi dati esposti da Il Sole 24 ore tratteggiano un mercato che in Italia vale intorno ai 71 miliardi di euro, con 1,4 milioni di occupati. Sono 19 milioni gli Italiani che ogni anno partecipano alla vita notturna del Paese, generando una catena di introiti considerevole anche per i settori complementari, come la ricettività turistica (pensiamo alle famose mete della movida estiva), i trasporti (taxi e car sharing) o la ristorazione. L’esperienza che gli anglosassoni formalizzano come “night out” è, di fatto, un pacchetto guidato dai locali notturni che il consumatore completa appoggiandosi a diversi altri servizi.
La tendenza a relegare l’intrattenimento notturno a business di serie B, sotto l’insegna di un certo scetticismo e di una diffusa reticenza a trattare il settore con la stessa serietà che si dedica agli altri mercati, non è purtroppo figlia dell’emergenza Covid-19 e del 2020.
Ha origine in una cultura decennale per cui lavoro e divertimento si muovono su binari paralleli e impossibili da incrociare: divertirsi è un’attività accessoria, a tratti biasimabile, e chi fa del divertimento il proprio lavoro sembra costretto ad accettare di offrire alle persone un servizio di cui non hanno reale bisogno.
Se l’entertainment assume dignità, lo fa solo di giorno, solo come eccezione e solo se associato a forme più socialmente accettabili di impiegare il proprio denaro e il proprio tempo.
Se ci si sofferma su questi numeri e su queste riflessioni, viene naturale constatare come lo scenario per gli operatori del settore sia ora più complesso che mai. Come può un mercato che vive nell’ombra da 40 anni vedere la luce alla fine del tunnel della pandemia?
Se lo sforzo è quello di trattare il settore della nightlife come qualsiasi altro business, è chiaro che la situazione contingente renda urgente il bisogno di ripensare i canoni tradizionali del mercato per rendere possibile il suo sussistere in una condizione di realtà modificata.
Come per il turismo, la moda, il retail, anche qui non esistono soluzioni pronte, ma esistono occasioni. In questi giorni mi sto confrontando con manager e professionisti in vari campi, che nel loro quotidiano stanno affrontando le sfide che la pandemia ha lanciato alle imprese con forte determinazione e spirito critico. Un imprenditore mi ha detto che, nell’approcciare criticità nuove, una nuova opportunità può emergere: quella di sradicare dinamiche e abitudini che hanno trascinato i mercati negli anni, adagiandosi su equilibri che favorivano sì il mantenimento di un confortevole status quo, ma che allontanavano giorno dopo giorno, anno dopo anno qualsiasi possibilità di crescita in termini di valore generato.
Se qualcosa di buono c’è nella particolare condizione che stiamo vivendo, è sicuramente contenuto nella parola ‘ripartenza’: è un momento obbligato in cui gli attori principali di un settore sono chiamati a tornare al punto 0, quello in cui le persone hanno bisogni da soddisfare, un dato potere di spesa e delle limitazioni contingenti, e le aziende devono offrire esperienze capaci di generare valore in maniera sostenibile.
Proprio per questo, credo che per ripartire sia necessario riconnettersi. Riconnettere domanda e offerta, riconnettere offerta e mercato, riconnettere offerta e offerta: i consumatori hanno bisogni mutati, il mercato ha condizioni diverse, offerte sostitutive o complementari possono e devono uscire dalle logiche di concorrenza per concorrere, insieme, a ripensare esperienze di valore.
Sono ascolto e confronto l’occasione per far ripartire il business dell’intrattenimento notturno. Mettiamo in pausa proiezioni e andamenti trascinati dai vecchi sistemi e riuniamo allo stesso tavolo tutti gli attori coinvolti nella catena di valore di un dato mercato: le persone. Persone che acquistano, persone che vendono, persone che vivono esperienze, prima come adesso.
Qualcuno, nel settore della vita notturna, ha già mostrato di sentire viva la necessità di un cambio di paradigma.
A metà aprile è nata la pagina Facebook “Uniti per la musica”. Creata da Leonardo Gonnelli, DJ e producer, questa pagina è di fatto un luogo aperto in cui riunire tutte le persone che hanno interesse nel ripensare il mercato: club owner, DJ, agenzie di booking, promoter e, soprattutto, clienti.
Ogni settimana, la pagina promuove degli appuntamenti in diretta in cui voci di rilievo nel panorama della nightlife italiana discutono insieme sugli scenari possibili della ripartenza, con spirito critico verso il passato e ascolto reciproco per disegnare il futuro.
Fondamentale è la partecipazione di quella che Jovanotti, molti anni fa ormai, chiamava “gente della notte”: il pubblico che partecipa alle dirette da tutta Italia ha la possibilità non solo di assistere al confronto, ma anche e soprattutto di interagire tramite i commenti, fornendo i propri spunti, suggerimenti e idee, che i partecipanti al tavolo di discussione puntualmente riprendono e affrontano insieme.
Max Di Blas, DJ, promoter e owner del brand AltaVoz, firma di un festival che raccoglie ogni anno i volti più famosi della scena elettronica internazionale, mi ha riferito: “L’obiettivo che ci siamo posti con il progetto Uniti per la musica è quello di trasformare la criticità del lockdown in un’opportunità: in un settore in cui viviamo concentrati a rincorrere la performance, spesso a discapito degli altri e del consumatore stesso, ci siamo trovati finalmente a collaborare e a impegnarci in uno sforzo di riflessione e autocritica importante. Il nostro business, che aveva già subito negli ultimi anni momenti di staticità e contrazione che hanno avuto ripercussioni sulla qualità dell’esperienza offerta, ha ora l’occasione di ripensarsi e provare a generare un prodotto nuovo, che sia veramente culturale e di valore per le persone”.
Al di là degli esiti e della possibilità di veder emergere soluzioni attuabili, il punto d’attenzione è un altro: concorrenza spietata, logiche di affossamento e guerre di booking e prezzi hanno lasciato il posto all’ascolto del consumatore e al confronto produttivo. Un impegno che, a fronte di un investimento che è di tempo e testa prima che economico, può tradursi nella genesi di un mercato diverso, vicino alle persone, che è esperienza e valore prima che numeri e rincorsa.