Come evitare la banner blindness

Riprendo un articolo pubblicato il 20 Agosto da Jakob Nielsen relativo alla pubblicità sui siti web: Banner Blindness: Old and New Findings.

La “banner blindness” (tradotto, cecità da banner) è un termine coniato nel 1998 da Benway e Lane, due ricercatori americani che si accorsero di come le informazioni presentate all’interno di un banner venissero ignorate dalla maggior parte degli utenti.

Nell’articolo di Nielsen viene spiegato come la “banner blindness” persista ancora oggi. I risultati evidenziano come gli utenti testati ignorino qualsiasi cosa possa sembrare pubblicità, anche se in realtà non lo è (spesso non vedono nemmeno il logo o il nome del sito).
Le forme pubblicitarie che invece godono ancora di buona attenzione sono quelle testuali (text ads) e i banner che includono volti o parti del corpo delle persone.

Nei casi in cui gli utenti vengano a contatto visivo con un banner evitano di interagirci.
Situazione che si verifica in tutte le forme di lettura: superficiale, veloce e approfondita. Sintomo quindi che la “banner blindness” non è causata della scarsa attenzione dell’utente verso contenuto della pagina, ma più probabilmente è causata dalle caratteristiche intrinseche dei banner che vengono automaticamente ignorate dagli utenti.

banner blindness

Nielsen fornisce poi alcune indicazioni per migliorare la resa dei banner pubblicitari ed evitare la “banner blindness”:

  • integrarli nativamente (cioè fin dalle prime fasi del progetto) come componenti del sito
  • renderli parte specifica della pagina in cui sono inseriti

 

Indicazioni che se mal interpretate, potrebbero scontrarsi con i principi di distinzione dei contenuti editoriali dalle inserzioni pubblicitarie. Infatti Nielsen consiglia anche di non “mascherare” la pubblicità come un contenuto editoriale, ma di adottare un design creativo e un posizionamento specifico che aumenti le fissazioni dei banner (numero e durata delle pause fatte su determinati elementi della pagina) .

Niente di nuovo certo, ma un’importante conferma di un fenomeno ormai conosciuto, che abbiamo recentemente verificato anche in TSW, durante alcuni test di usabilità svolti con l’ausilio di strumentazioni per l’eye tracking.

11 settembre 2007 Matteo Caruso