Il Native Advertising e il valore dei contenuti per i brand e gli editori

Il web è sommerso dai contenuti: come emergere?

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Nuovi prodotti e servizi nascono in continuazione e cercano di comunicare il proprio valore cavalcando l’onda della rete, distinguendosi dalla massa. Alcune aziende sono agevolate nell’ideazione della propria strategia di digital marketing, per la natura stessa del prodotto offerto.

È il caso, ad esempio, di Netflix il servizio di streaming video on demand che ha contribuito a rivoluzionare la fruizione dei contenuti video e ha conquistato, con la qualità della sua offerta (e comunicazione), un numero di utenti vicino ormai a 100 milioni a livello globale.

Netflix è un soggetto che ha scombussolato il mercato televisivo italiano. È un competitor scomodo per i network consolidati che devono inseguire il suo modo di proporsi schietto e accattivante, che attrae i Millennials, ma non solo.

La disruptive innovation comunicativa abbracciata da Netflix non interessa solo i network audiovisivi, ma include ogni settore commerciale. Pensiamo ai classici giornali cartacei, siano essi quotidiani o periodici. In meno di una decade hanno affrontato un ciclone abbattutosi sul mercato e hanno dovuto ripensare alla base le proprie strategie di marketing e di corretto impiego delle risorse.

Il passaggio dalla fruizione cartacea a quella digitale ha segnato lo spartiacque tra il vecchio modo di intendere un mestiere e il nuovo modo di inserirlo nella realtà contemporanea.

Questo passaggio di consegne tra la generazione inebriata dal profumo della carta e quella sedotta dagli schermi retroilluminati è ancora in atto, e si è ancora lontani dall’aver trovato la formula magica per riportare i guadagni ai livelli dei rassicuranti paginoni pubblicitari di un tempo.

La cosa buona è che questo cambiamento epocale sta coinvolgendo tutte le realtà editoriali del mondo. E alcune tra queste si stanno muovendo meglio di altre, spinte dallo spirito di sopravvivenza e dall’intraprendenza, tanto da risultare veri esempi di efficace marketing digitale applicato all’editoria del web.

Il native advertising: dal publiredazionale ai contenuti editoriali sponsorizzati

Il native advertising è l’evoluzione digitale della pubblicità redazionale su formato cartaceo. Se ci pensate, tutt’ora in giornali e riviste cartacee sono pubblicati articoli a sfondo pubblicitario incentrati su aziende o prodotti specifici.

Il publiredazionale è basato sull’acquisizione di uno spazio da parte del brand all’interno del giornale. Questo spazio contiene un inserto pubblicitario vero e proprio sviluppato secondo uno stile editoriale. Può avere quindi le fattezze di un articolo, di un dossier, di un approfondimento o di un’intervista.

Il native altro non è che l’evoluzione naturale e potenziata del publiredazionale in formato digitale. Si basa sulla necessità di fornire un’alternativa coinvolgente all’advertising classico basato sui pop-up e sulle interruzioni durante la navigazione, in favore di contenuti digitali su misura finalizzati a potenziare la brand awareness.

I contenuti sono detti “nativi” perché ideati, sviluppati e realizzati per un canale specifico di diffusione che è quello della testata editoriale digitale dove compare il contenuto. Non possono quindi essere declinati in canali alternativi rispetto a quello inizialmente designato per la sua diffusione. Il native non è traslabile nemmeno in forma cartacea, dove perderebbe di interattività, coinvolgimento e flusso verso la conversione finale

I contenuti di native advertising sono di solito inseriti naturalmente, spontaneamente e organicamente all’interno di contesti editoriali qualificati (siti di giornali, magazine e portali editoriali) senza creare un effetto di interruzione rispetto alla consultazione dell’utente. Ciò che distingue i contenuti native dagli articoli veri e propri è la presenza di una indicazione che deve essere chiara e visibile (la disclosure) che li indentifichi come contenuti a pagamento o sponsorizzati da parte di un determinato inserzionista.

Un contenuto native richiama per linea grafica e contenutistica un articolo o approfondimento di uno specifico giornale o magazine online, ma è immediatamente distinguibile grazie alla disclosure o per l’aspetto grafico che, pur simile, si distingue dagli articoli veri e propri.

Anche in Italia si inizia a pensare al native. Tra i diversi esempi ormai riscontrabili sulle diverse testate editoriali online, citiamo un recente esempio creato da Ferrero per il suo brand più famoso, Nutella.

native advertising repubblica ferrero

La pagina native di Nutella è inserita nel flusso di consultazione di notizie a approfondimenti a bordo pagina, sviluppate dalla redazione del Corriere.it. Il colore viola del bordo e la disclosure al passaggio del mouse, però, lo identificano subito come contenuto di native advertising, un publiredazionale interattivo consultabile on line. Risulta chiara la sponsorizzazione del contenuto da parte di un’azienda, ma con i codici di comunicazione tipici della testata su cui si trova, cioè il Corriere della Sera.

Cliccandoci veniamo indirizzati in una piattaforma sviluppata in collaborazione col team advertising di RCS. Questa piattaforma è suddivisa per blocchi, graficamente curatissima, dispiega una narrazione completa e coinvolgente sul mondo della materia prima da cui è ricavata la Nutella, le nocciole, presenta sezioni interattive o dinamiche e una call to action finale che innalza il livello di coinvolgimento dell’utente.

native advertising corriera della sera ferrero

Quando il native advertising ha la qualità di un prodotto giornalistico: il caso del Wall Street Journal e Netflix

Uno degli esempi migliori di native advertising internazionale è il progetto Cocainenomics.

Cocainenomics è un esempio perfetto di come assecondare il cambiamento e dominarlo. Questo progetto di native advertising è nato dalla fruttuosa collaborazione tra il Wall Street Journal e Netflix. O meglio, tra la serie Narcos di Netflix e il Wall Street Journal. Una delle serie tv di maggior successo degli ultimi anni e il colosso dell’informazione economica statunitense, uniti in un progetto di infotainment a regola d’arte.

Ci troviamo di fronte a un vero e proprio mini sito web che racconta l’evoluzione del temuto cartello della droga di Medellin, città natale del leggendario narcotrafficante colombiano Pablo Escobar.

Un prodotto qualitativamente elevato come la serie Narcos viene esaltato grazie alle competenze narrative e all’inventiva dell’Advertising Team del Wall Street Journal e il risultato è uno solo: content marketing allo stato dell’arte.

Cocainenomics è una scelta strategicamente vincente sotto ogni punto di vista. Da un lato un’istituzione della notizia come il Wall Street Journal produce un esercizio di stile impeccabile di dossieraggio tra il reale e la fiction, godendo del potenziale di visite grazie alla curiosità suscitata negli spettatori della serie. Dall’altro lato, Netflix beneficia di un modo alternativo e qualificato per proseguire ed approfondire una già riuscitissima narrazione, proponendo una forma di advertising che rompe gli schemi e si pone come una forte evoluzione del classico modello pubblicitario editoriale che si basa sulle impression erogate dalle ads inserite nelle pagine web.

I due brand – quello editoriale, Wall Street Journal, e l’inserzionista, Netflix – escono entrambi vincitori e noi fruitori ci troviamo di fronte a un esempio cristallino di cosa può essere un 10x content come lo intende Moz.

cocainenomics native advertising

Il sito Cocainenomics è uno stand alone che presenta una pulizia grafica e una chiarezza visiva disarmanti, e alterna articoli simil-giornalistici che scavano dentro la storia dei signori del narcotraffico a spezzoni di video tratti dalla serie tv.

Mappe interattive e animate che mostrano le diverse rotte della droga nelle decadi e testimonianze video-fotografiche da archivio storico collegano direttamente la realtà alla fiction, in una perfetta continuità visiva e narrativa.

Questo fulgido esempio di branded content veicolato attraverso il formato del native advertising editoriale amplifica lo storytelling della serie on-demand e lo arricchisce con un dossieraggio che intrattiene intelligentemente e senza mai smarrire l’aderenza storica.

Ed è proprio questo l’obiettivo cercato e raggiunto: creare un ponte di informazioni, aneddoti e curiosità che nascono dalla trama della serie e ne fuoriescono vivendo di vita propria, per poi riaffluirvi arricchendo e prolungando l’interesse del pubblico, alimentando un mito.

Cocainenomics svolge egregiamente le sue funzioni: intrattenere, informare e coinvolgere. Ciascuna di queste componenti è presente e funziona, sia per chi sbadatamente non avesse mai sentito parlare della serie, che per gli accaniti fan che possono allargare la propria sete di conoscenza su una storia che ha ancora molto da raccontare.

Ogni contenuto è strutturato per sostenersi da solo, con aderenza e precisione giornalistica e aggiunge una briciola di pane che condurrà il lettore alla successiva. Anche se lo scopo è aumentare la brand awareness della serie tv di Netflix, gli spezzoni video contengono una minuscola call to action che rimanda ad una landing page dedicata per sottoscrivere il servizio, che è conversione a tutti gli effetti verso la sottoscrizione dell’abbonamento a Netflix. Una conversione che risulta garbata, fluida ed efficace.

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Atterrati sulla landing ci accoglie un copy semplice, ma chiaro e tramite un singolo bottone accediamo alla procedura per abbonarci, che richiederà tre semplici passaggi.

Il content e la user experience creano un percorso fluido per l’utente, che è trasportato naturalmente da un progetto editoriale coinvolgente all’acquisto del servizio.

Il contenuto di qualità credibile, interessante e interattivo è la base ideale per innestare la conversione, in maniera per nulla invasiva. La ciliegina sulla torta è un quiz per sondare le proprie conoscenze, posizionato sopra la sezione dedicata ai veri articoli di cronaca del WSJ che trattano del mercato degli stupefacenti.

La realtà che, ancora una volta, si fonde con la finzione.

Quest’operazione è in larga parte supportata dal taglio giornalistico e preciso adottato dal Wall Street Journal. Gli spunti e il materiale per uno storytelling coi fiocchi c’erano, ma senza un’adeguata direzione artistica ad orchestrarli sapientemente si sarebbe ottenuto uno splendido sito senz’anima.

Invece, già dalla prima visita, ci ritroviamo di fronte a un tavolaccio scuro, coperto da pulviscolo bianco. Spostiamo il cursore e la polvere si muove, si sparge, rivelando il titolo della pagina.

Siamo noi che stiamo muovendo una tessera su un ripiano che potrebbe essere il bancone di un vecchio bar di Medellin. Siamo noi che stiamo muovendo la polvere che ha scatenato l’inferno e ha fatto nascere un impero.

Siamo noi che consultiamo un pericoloso dossier che ci proietterà in un mondo pericoloso e affascinante.

Se non è arte questa, poco ci manca.

netflix narcos native advertising

I contenuti e i nuovi trend del giornalismo digitale

Il content marketing e il branded content sono in continua evoluzione, così come in evoluzione sono i mezzi e i modi attraverso i quali gli utenti accedono ai canali di comunicazione utilizzati dalle aziende. Abbiamo mappato i nuovi trend del giornalismo digitale analizzando i case study di tre importanti brand editoriali internazionali: The New York Times, The Economist e The Washington Post. Inoltre, abbiamo notato un altro grande trend, che unisce lo strumento di comunicazione di cui si parla di più ai contenuti più classicamente intesi come editoriali.

Il futuro dei contenuti online è raccontato qui: I contenuti e i nuovi trend del giornalismo digitale


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27 aprile 2017 Massimiliano Santolin

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