(commento musicale) Emancipazione, un concetto presente nel DNA dell’uomo, un tema annoso.
Emanciparsi da qualcuno, emanciparsi da qualcosa, emanciparsi da una filosofia, da una ideologia, da una costrizione, per riacquisire la libertà. Una libertà, che ci era stata tolta, oppure, una libertà che più o meno coscientemente ci eravamo tolti da soli. Può sembrare un’illazione ma per perseguire un percorso, un obiettivo, una credenza, spesso ci esponiamo a degli agenti, a degli eventi, a delle vicissitudini, che ci intrappolano in una sorta di schiavitù.
Ed è d’altronde probabile che, per molti, l’avere qualcuno, un padrone, che dica loro cosa fare, indichi loro il cammino, tortuoso e sbagliato che sia, ecco questa cosa li faccia sentire bene, in pace con sé stessi. Siamo stati defraudati di molte cose nella nostra storia, ma non solo personale, del qui ed ora, bensì nella storia delle civiltà. È stato un lento processo di negazione dell’io culturale, che ci ha fatti sprofondare in un asservirci a chi, ipotizziamo, valga più di noi, e ci possa manovrare per un nostro ipotetico bene. Chi vale più di noi, pensa più di noi, pensa per noi e anzi, ci fa un favore, ci dà qualcosa che ci fornisce la certezza del fatto che non dovremo mai più pensare, è questo un nichilismo che ci ha paralizzati come fosse un trauma alla spina dorsale. Cosicché, semmai dovessimo pensare, qualcun altro, o anzi, qualcos’altro, lo avrà già fatto: il nostro pensare è divenuto allora superfluo, o addirittura scomodo per chi sta al disopra di noi? Probabilmente la risposta è sì. Che bellezza, tutto è già apparecchiato, è in funzione, ha già scelto, e sia giusto o sbagliato, è ormai un dettaglio, la nostra vita è disegnata da organi superiori.
Habeo Deum judicem, qui mea vita est testis
La mia vita è allora un pegno in mano di chi è creditore della mia identità. Io non sono più nessuno, non sono più nulla. Guardo il mio riflesso sul vetro di un negozio, mentre vago senza un fine, e senza una meta, lungo questa viuzza dimenticata da Dio, da un Dio che non so più con che occhi mi guardi, forse non mi guarda più, non ho nulla da dire, non ho più nulla di buono da dire, non ho nemmeno lacrime da versare, sono stato defraudato anche di quelle. Una lacrima non fa notizia, non interessa a nessuno, o forse, solo a me può interessare, che mi sento trascinato a forza da questo treno, del progresso. Sì, è come un cappio, ogni giorno stringe la sua morsa, al ticchettio dell’orologio, ogni minuto passa, certo non si ferma e non si inceppa il meccanismo, dell’oggi, che è già domani, ed è già morte. Non so più chi sono, nessuno mi vede più, forse sono solamente un numero, un codice, una piccola ruota dentata di un ingranaggio, dell’ingranaggio, come in un film di Fritz Lang, seguo pedissequamente un impulso, faccio la mia parte, muovo secondo logica di entità superiori, la carcassa del mio corpo esanime, esangue, privo di pensiero, a beneficio del mostro, che continua così a crescere, ad avanzare, ad espandersi. L’unica mia utilità a questo mondo è questa, e quando smetterò la mia funzione, verrò gettato nell’immondezza.
Il progresso, il comfort, l’automazione, la robotica, le intelligenze artificiali; ci precedono, pensano e scelgono per noi, ci teleguidano, ci svezzano, ci sedano, ci annichiliscono, ci inibiscono, ci surclassano, ci elidono. Eppure io credo ancora che il mio Dio, giudice supremo e definitivo che sta nei cieli, mi sia testimone, sia testimone della mia seppur squallida e insensata vita, deprivata essa stessa di ogni significato in relazione a qualsivoglia ideologia; Dio è testimone di questa ingiuria perpetrata a mio danno dal dio progresso degli uomini illuminati e degli umanoidi, uomini virtuali loro figli, che teleguidano il popolino.
Ogni azione del popolino, viene passata al vaglio degli umanoidi, o anzi, il popolino esegue le azioni impartite dagli umanoidi.
La propaganda
Potente alleata, potente mezzo, a disposizione e utilizzato dagli uomini illuminati per assoggettare il popolino al potere, al diktat, dei luogotenenti umanoidi, è la propaganda, della quale Joseph Goebbels rimane il capostipite per antonomasia. Goebbels riteneva che le folle, le masse, fossero facilmente suggestionabili, soggiogabili, coercibili, con un messaggio semplice e ripetitivo, un messaggio elementare e ripetuto in modo martellante, quasi lobotomizzante. La propaganda era diffusa dalle affissioni, dai quotidiani, dalla radio, dagli altoparlanti, dai megafoni, dai comizi, dalla letteratura, dall’arte, dallo stato, dal popolo.
Popolo, e popolino. Il popolo, è la vera democrazia di una nazione, è quella parte della società che non solo sopravvive, ma si è ritagliata una nicchia di benessere economico, di potere, e di indipendenza da tutto il resto. Il popolo, pensa, fa valere i propri diritti, non si espone eccessivamente alle mercé di entità pericolose quali gli umanoidi, e gli uomini illuminati. Ubi maior minor cessat, Charles Darwin aveva ragione, in relazione al fatto che se la messe è poca, la specie animale più evoluta si assicurerà il raccolto, mentre le specie meno evolute, soccomberanno, periranno. Sicché, mi sorge spontanea una domanda, mentre seggiando su questa piazza, mi avvicino malinconicamente alla fontana ghiacciata da questo inverno del cuore, così arido.
La domanda è: siamo veramente evoluti? Perché a me sembra invece che, spogliati delle nostre vesti, delle nostre tecnologie, e delle nostre conquiste, siamo gli stessi ominidi della preistoria, pronti a prenderci a bastonate gli uni gli altri per un pezzo di carne. Allora il popolo non mi piace più, perché ha prevalso sul popolino relegandolo, emarginandolo, ai bassifondi della città. Provo certamente più pietà per il popolino, sono solidale con esso, credo infatti che infine queste povere persone, povere economicamente e in spirito, un giorno fermeranno la mano dell’oppressore, e si riscatteranno.
Il colloquio
Personalmente, è una cosa che mi ha sempre atterrito. Il momento del colloquio: con il proprio confessore, con il proprio padre, con la propria coscienza, oppure, con un cliente, o per trovare lavoro.
Eppure, parlare è anche piacevole, confidarsi, essere sé stessi, cercare il dialogo, cercare comprensione. Capirsi gli uni gli altri, ecco la chiave. Oggi è così difficile, il dialogo non esiste, si ha paura di parlare, di esprimersi, per la paura di essere strigliati, di ricevere un no, o, peggio, una punizione. Popolo, uomini illuminati, umanoidi, tre stati sociali, che esercitano il loro potere sull’ultimo strato sociale, il popolino, succube di tutti i tre. La povera gente, deve ritrovare la forza, il dialogo, la fratellanza, l’unione, solo così sarà in grado di far sentire la propria voce a chi sta sopra di essa, ai propri aguzzini, quindi attraverso la propria dignità, facendo valere i propri diritti, esprimendosi, eludendo la costrizione e la frustrazione di doversi confrontare e relazionare con gli umanoidi. Solo così, le povere genti alzeranno gli occhi, e diventeranno persone vere, pensanti, riacquisteranno il centro decisionale delle cose, diventeranno essi stessi artefici della propria vita, ponendosi al disopra delle cose e degli eventi, e in special modo, al disopra dei mezzi tecnologici, non più padroni e tiranni, bensì servi e docili, e realmente utili, finalizzatori delle scelte di una mente pensante, l’uomo centro universo, e del suo essere umani.
Quanto a me, ho solamente voluto narrarvi un altro dei miei racconti, ma ora è sera, ed è giunto il momento di tirare su il bavero del cappotto, e risalire in treno.