Programmatic & Marketing Automation, per un Adv più human

Venerdì 4 Luglio siamo stati ospiti all’evento Programmatic e Marketing Automation organizzato da IAB Italia. Seguendo il fil rouge della raccolta dati e di una sempre maggiore segmentazione degli utenti in cluster molto definiti, gli argomenti trattati durante il seminario sono stati relativi alla qualità e alla trasparenza.

Programmatic: dove il messaggio pubblicitario parte dai dati

L’obiettivo principale del Programmatic è monetizzare il più possibile gli annunci pubblicitari per i quali un’azienda paga sia Publisher sia piattaforma. Per fare ciò, si deve migliorare l’esperienza dell’utente che, navigando, si imbatte in banner pubblicitari.

Ovviamente, più si conosceranno interessi, comportamenti d’acquisto e abitudini di ricerca dell’audience a cui comunicare i messaggi, più sarà facile raggiungere l’obiettivo.

Una volta conosciuto il proprio target, l’azienda dovrà capire cosa comunicare. Ogni cluster di utenti, infatti, riceverà un messaggio personalizzato, scelto in base all’analisi dei dati raccolti: che contenuti preferisce o in che momento della giornata è più propenso all’interazione con il nostro messaggio.

Come ultimo punto andrà deciso dove comunicare il messaggio: non si tratta solo di una scelta di posizionamento online (quindi su che siti e in quali pagine), ma sempre più il “dove” si riferisce alla geolocalizzazione degli utenti. Interagiscono di più mentre sono in palestra o in metro? In ufficio o dal divano di casa?

Il programmatic riesce a restituirci, grazie ad algoritmi che danno vita all’intelligenza artificiale, esattamente questo: a chi comunicare, cosa comunicare, quando comunicarlo, dove comunicarlo.

Value for advertisiers

La sua efficacia, tuttavia, è compromessa da alcune problematiche, quali: frodi, brand safety e trasparenza.

La qualità del programmatic advertising

La qualità di cui si è parlato durante l’evento riguardava sia gli Advertiser, quindi l’agenzia o l’azienda che compra gli spazi pubblicitari, sia i Publisher, ovvero chi li vende. In alcuni casi le caratteristiche corrispondono, in altre, invece, si differenziano a causa dei diversi obiettivi e delle diverse necessità dei player.

Prima di tutto, però, la qualità è vista dal punto di vista dell’utente.

user quality

Il messaggio che riceverà l’audience, infatti, deve avere caratteristiche ben precise per non ottenere l’effetto opposto a quello auspicato:

  • Il Formato non deve assolutamente essere invasivo (quei simpatici video che si aprono a tutto schermo, a tutto volume, all’improvviso e su cui trovare la X che dovremmo premere per chiuderli è impossibile, sono l’esempio di cosa non fare)
  • Il Contenuto deve essere collegato al contesto (se sto guardando un sito di cucina, forse la pubblicità di un’auto sportiva non è nel contesto corretto)
  • La Creatività deve essere ingaggiante ed emozionare l’utente a cui è rivolto il messaggio
  • La Call to Action deve essere chiara per permettere all’utente una scelta consapevole.

A valle di tutto ciò, non dimentichiamoci che il mobile sta prendendo (se non lo ha già fatto) il sopravvento. Questo significa, prima di tutto, rivedere il modo in cui immagini e video sono pensati: non più, quindi, formati orizzontali, ma verticali (le stories di Instagram ne sono un esempio)

instagram-stories

Come anticipato, la qualità riguarda anche Publisher e Advertiser.

Per i primi valgono le stesse caratteristiche evidenziate per l’utente, visto che se un utente è contento dell’esperienza che ha su un sito, facilmente ci tornerà (nell’esperienza rientra anche la pubblicità che il sito contiene), a cui si aggiunge, più in generale, la qualità dell’azienda pubblicizzata dai banner: a nessuno piace fare pubblicità ad aziende che magari sono associate a casi di frodi, o in settori ritenuti borderline.

Per gli Advertiser, invece, la qualità si traduce essenzialmente nel tema della Brand Safety e dei profili a cui viene mostrato l’annuncio: che spazi, che inventory e che utenti sto “acquistando”?

Brand Safety

Il tema della Brand Safety, come sappiamo, è molto caldo, in seguito ad alcune esposizioni di noti marchi a contenuti inappropriati sul sito di un Publisher che ne hanno in parte compromesso la credibilità. Molti altri marchi stanno ora correndo ai ripari per evitare di comparire su siti di fake news, estremisti e che trattano temi impropri.

Il problema è internazionale, e non c’è, in questo momento, un paese che abbia trovato la strada corretta. Molto più probabilmente ogni Advertiser dovrà trovare la soluzione più adatta alle sue esigenze e al suo prodotto, senza dimenticare gli obiettivi che vuole raggiungere tramite le campagne di digital advertising.

Una prima soluzione è stata quella di, ad esempio, attivare Black List ed escludere gruppi di contenuti indesiderati, ma si sta andando sempre più verso una forma di controllo su misura, tramite la scelta diretta dei siti su cui comparire, scegliendo ed attivando una white list di posizionamenti.

Questa scelta “manuale” dei posizionamenti ci porta a discutere del secondo macro tema trattato durante il seminario: la Trasparenza.

Dalla qualità alla trasparenza

Una volta determinato cosa mostrare, dove mostrarlo e a chi mostrarlo, si arriva alla seconda grande sfida delle campagne online: la Trasparenza.

Il primo punto associabile a questo tema è quindi la scelta di lavorare in white list: sapere esattamente dove i miei annunci compaiono è infatti fondamentale per un Advertiser che non voglia rischiare di essere associato a temi e notizie rischiosi.

Ci sono altri punti fondamentali, che riguardano, anche in questo caso, sia Publisher sia Advertiser:

  • La trasparenza di investimento, budget e bidding: quando si parla di soldi, infatti, è giusto che l’azienda conosca esattamente non solo l’investimento finale, ma come questo è suddiviso tra spazi pubblicitari, piattaforma e fee dell’agenzia che eventualmente gestisce le pubblicazioni
  • La chiarezza delle metriche da considerare: è più importante il CTR o il CR? Ovviamente dipende dall’obiettivo della campagne
  • La correttezza della misurazione dei dati.

La creatività e il programmatic

Particolarmente interessante è stato l’intervento di Oliviero Toscani. Il fotografo divenuto celebre per le sue campagne pubblicitarie dissacranti, pur discostandosi dalla tematica del Programmatic, ha voluto soffermarsi su un tema più vicino alle persone: la Creatività. Secondo Toscani, in questo momento, il marketing sta distruggendo la creatività, lasciandola sedere sul sedile posteriore di un’auto guidata dal Programmatic. Quest’ultimo però, nonostante ci faccia conoscere molte caratteristiche fondamentali degli utenti (con risultati a volte non eclatanti, come “ai topi piace il formaggio”), non restituisce la cosa fondamentale: l’emozione. La tecnologia non dà emozione, mentre invece la comunicazione dovrebbe essere un fatto di coraggio e audacia. Ora invece, annoia.

In conclusione, quindi, Marketing Automation e, più nello specifico, Programmatic Advertising, ci stanno accompagnando verso un’offerta pubblicitaria sempre più human, personalizzata, ma soprattutto di qualità elevata, per tutte le entità che ruotano attorno a questo mondo, dall’utente al Publisher, passando per l’Advertiser. Servirà probabilmente definire nuovi reparti, e nuovi ruoli, che all’interno di aziende e agenzie possano interpretare al meglio le potenzialità dei nuovi mezzi di gestione e comunicazione pubblicitaria.

Come sempre, l’innovazione corre veloce, e l’ambiente attorno a noi muta: dobbiamo quindi essere bravi a porre le basi per seguire questa nuova ondata di cambiamenti.

13 luglio 2017 Giorgia Zambianchi

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TAG: digital marketing The Sixth W approach