Webinar e workshop, strumenti di riconnessione ai tempi del social distancing

“Mi senti? Si vede la slide? Accendi la telecamera! Ti sento a tratti… Si è connesso Mario? Hai il microfono spento! Ma quella era tua figlia? Bla bla bla…”

La forzata permanenza nelle nostre case per l’emergenza sanitaria ha portato alla ribalta le comunicazioni audio/video. Certo, non sono una novità da nessun punto di vista, ma rappresentano le modalità in cui la maggior parte di noi ha trasformato il lavoro e le interazioni, anche familiari (congiunti si chiamano ora), nell’attuale situazione che ci impone ancora tratti di social distancing. In particolare, la diffusione del lavoro da remoto ha portato alla ribalta (e forse a un utilizzo, per così dire, bulimico) strumenti quali: Microsoft Skype o Teams, Google Hangouts, Citrix GotoMeeting, Adobe Connect, Slack, Zoom e così via.

Social Proximity: l’opportunità di riconnessione ai tempi del social distancing

Ma perché ve ne parliamo? E che c’entrano TSW, il suo modello di ascolto e la qualità delle esperienze delle persone? Perché pensiamo che in uno strumento che prende decisamente piede tra le persone, tanto da settare nuovi codici comunicativi o estetici, a volte possa risiedere un valore, o vi sia comunque connessa una qualità o possibilità, che trascuriamo per gli evidenti (e forse preponderanti) benefici diretti. Un esempio per tutti: l’auto è certamente un utile mezzo di trasporto, ma quando eravamo giovani per molti di noi ha rappresentato sicuramente uno strumento di relazione, quando non è stata addirittura galeotta.

Qual è in questo contesto il valore che potremmo non cogliere, ma che esiste? Quella che in realtà rappresenta una vera e propria opportunità di connessione e riconnessione: la social proximity, se volete, per controbilanciare la presente situazione, ma che in realtà si tratta più correttamente di una proprietà emergente del fatto che siamo chiamati o abbiamo la possibilità di fare conference call e webinar.

Il Webinar come vivaio

Le proprietà emergenti sono proprietà insite in un gruppo, che non sono possibili quando uno qualsiasi dei singoli elementi di quel gruppo agisce da solo. Provate a pensare ad alcuni esempi concreti: le colonie di formiche, i sistemi chimici complessi, le città o, appunto, i gruppi di lavoro. Per questo, più che della conference call, vorremmo suggerire un punto di vista laterale con il quale leggere, interpretare o intraprendere la via del webinar (ecco un’altra non novità).

Il webinar come un vivaio in cui nascono idee, ispirazioni e soluzioni

Webinar è un neologismo – anche se esiste da molti anni – dato dalla fusione dei termini della lingua inglese: web (rete) e seminar (seminario). È stato coniato per identificare sessioni educative o informative la cui partecipazione in forma remota è possibile tramite una connessione internet. A differenza del webcast – altra parola inglese composta da web (rete) +‎ broadcast (trasmissione) – nel quale la trasmissione di segnale audio e/o video sul web avviene in modalità client-server, che, per quello che stiamo discutendo potremmo stigmatizzare come in modalità “uno a molti”, nei webinar, o seminari digitali di cui vogliamo parlare, ciascun partecipante accede da un proprio computer/smartphone ed è connesso con gli altri partecipanti tramite Internet. I webinar sono infatti un sistema interattivo dove i partecipanti possono interagire tra loro e con il coordinatore (auditore) del seminario tramite gli strumenti disponibili dai sistemi di videoconferenza.

L’interazione, libera, anche se vincolata dai turni di parola, oltre che dalla banda, l’interesse, dalla selezione dei temi e nel loro non banale trattamento, la partecipazione, o la libertà psicologica necessaria per mostrarsi e intervenire, e la ri-connessione, ovvero un nuovo modo di comunicare e di esprimersi, sono i punti che del webinar o seminario on line ci interessano e che richiamano il WITH della condivisione e co-creazione e i temi di cura, relazione e ascolto che TSW cerca di portare nei progetti con le persone. In nuove relazioni, in alcuni spunti, in quelle emozioni e in questi stimoli risiede la potenziale qualità emergente del seminario a distanza. Anche e se andrà fuori del seminato: le qualità, proprio per emergere, a volte esondano come i fiumi dall’alveo nel quale le avevamo pensate e viste scorrere sinora.

Torniamo un attimo sul significato di seminario, perché forse anche in questa parola possiamo trovare un significato per noi importante. Seminario, dal latino seminarium (derivato di semen “seme”), voleva dire, o lo vorrebbe nella nostra accezione, “semenzaio, vivaio”: un posto quindi dove far crescere semi e coltivare piante. E a pensarci bene, in questo non è distante dalla migliore accezione di un gruppo di studio in ambito universitario, un corso (beh, ancora?), un simposio (altra bella parola, vallo a chiedere a Platone), o una tavola rotonda (questo vallo a chiedere a Lancillotto), al quale si partecipa attivamente, intervenendo con relazioni, domande o prendendo parte a dibattiti.

Se sono partecipativi, poi li chiamiamo workshop, un sostantivo inglese composto di work “lavoro” e shop “bottega”. E proprio da quest’ultima prende il significato di laboratorio, specie se relativo ad ambiti artistici (si andava a bottega a imparare) e teatrali (mah, ci torneremo mai?), un gruppo di lavoro collettivo su uno specifico argomento.

Un lavoro collettivo, la ricerca di un argomento, un tema, le risposte o le domande, che sono ancora più interessanti, semenzaio o vivaio, bottega o lavoro, sono parole che oggi non ascoltiamo spesso se non in senso di divieto o, nell’attesa di uno sblocco definitivo, nei bollettini quotidiani o nei dpcm settimanali. Lo sblocco però deve partire da noi e dal lock-down stiamo in qualche maniera uscendo: dobbiamo farlo anche con la mente e con la rete, in un look-up, condiviso e collettivo, partecipativo e interattivo.

Prendiamo a cuore e prendiamoci cura dei team o dei gruppi, creiamone di ristretti, cross-funzionali e più orizzontali, per poi subito allargarli, interni ed esterni, clienti e partner, ospiti e amici, e vedere la ricezione, le reazioni, il tipo di stimoli più proficui, le risposte o le domande che genera e su quello pensiamo di ingaggiare un po’ del nostro tempo.

Non solo app, rete e microfoni: un webinar è fatto di persone, idee, prove ed errori

I seminari on-line possono avere luogo scaricando nel computer di ciascuno dei partecipanti un programma oppure collegandosi a un’applicazione web tramite un link distribuito per posta elettronica (invito alla riunione). Per accedere al webinar è necessario disporre di un collegamento alla rete, un programma di gestione di strumenti multimediali, un microfono e un altoparlante/cuffia.

Tutto qui?

No… servono le persone, e non il pubblico, servono le idee, e non le nozioni o le risposte preconfezionate, servono gli stimoli esterni, per cambiare prospettiva e non cercare soluzioni immediate, servono prove ed errori, momenti ripetuti per scaldare e rodare il sistema, perché non è scontato che funzioni, ma se vissuto appieno è generativo (di quei semi).

Questo è il nostro augurio, che nelle vostre schermate condivise si apra una prospettiva nuova, come quelle piantine che escono dall’asfalto, altrimenti saranno solo call o riunioni fatte in video.

Non possiamo dire che andrà tutto bene, ma prendere l’iniziativa e utilizzare strumenti vecchi in maniera nuova ci farà vivere meglio la realtà presente quantomeno e porterà forse le soluzioni attese ma da fonti magari inaspettate.

18 maggio 2020 Bernardo Lecci

Potrebbe interessarti anche: