Come si innescano i meccanismi virali? Beh, la risposta non è così intuitiva. Sicuramente le leve a disposizione delle aziende che vogliono puntare su di un marketing di questo tipo sono molte. Viste le diverse sfumature che spesso vengono date al concetto di marketing virale, in questo post parleremo semplicemente del passaparola, online (soprattutto) e non. È vero, infatti, che non è solo la trasmissione in rete che ci interessa, perché altrettanto importante è la diffusione offline.
Nello scenario attuale, se parliamo di marketing virale non possiamo escludere i social network. Questi luoghi, infatti, sembrano avere tutti i requisiti necessari allo sviluppo delle cosiddette idee-virus: il forte collegamento tra le persone e, soprattutto, la grande varietà di modi per poter tramandare la propria conoscenza agli “amici”, rendono questi ambienti ideali per trasmettere messaggi stimolanti, siano essi divertenti, drammatici, di solidarietà, di scandalo e così via.
Premessi questi pochi concetti, arriviamo al dunque. Ci sono alcune tecniche di marketing che nascono fuori dalla rete, e che non sono sicuramente nuove alle aziende, ma che ben si possono prestare alle pratiche del passaparola. Tra queste, ce n’è una su cui focalizzeremo l’attenzione, perché facilmente associabile a meccanismi virali: il cause-related marketing.
Con questo termine si intende una tecnica il cui scopo è quello di dare vita a partnership tra un’azienda e un’organizzazione no profit con l’obiettivo per l’azienda di migliorare l’immagine, sensibilizzando le persone. È una tecnica nata più di 20 anni fa e che è tuttora diffusa tra le aziende di più grandi dimensioni ma non solo. E allora, cosa cambia?
Oggi, probabilmente il cause-related marketing non è molto diverso, nei principi di applicazione, da quello utilizzato da American Express nel 1983, quando in cambio di transazioni prometteva agli americani di restaurare l’amata Statua della Libertà. La novità è visibile in rete. Infatti, se offline le tecniche si sono semplicemente affinate nel corso del tempo, una buona soluzione per migliorare quello che già si conosce potrebbe essere l’uso dei social network come ulteriore “cassa di risonanza” mediatica.
I social network sono strumenti che le imprese stanno imparando ad utilizzare spesso come interessanti armi di conquista dei nuovi mercati, oppure come mezzi di comunicazione alternativi. Non è difficile immaginare, dunque, come anche il cause related marketing possa trovare nei social network, e nei social media in generale, un ampliamento delle proprie potenzialità.
Partiamo con un esempio. Lo scorso Natale, YouBuy.it, società di e-commerce, ha deciso di dare vita ad un progetto basato sulla solidarietà attivando una partnership con Medici Senza Frontiere e collaborando, nello specifico, al “Progetto Indonesia”.
L’azienda ha lavorato su diversi canali per sviluppare l’iniziativa.
Innanzitutto, per ogni ordine effettuato fino alla fine dell’anno ha donato 1 euro all’associazione.
Inoltre, il budget destinato ai consueti regali natalizi per i clienti è stato anch’esso devoluto al progetto, inviando a questi, in sostituzione, una pergamena attestante il loro contributo al miglioramento della salute materno-infantile in Indonesia attraverso Medici Senza Frontiere.
Per ultimo, ma non meno importante, anzi, si è utilizzato il social network più famoso, Facebook, attraverso la creazione di un gruppo ad hoc. Per ogni iscritto, infatti, YouBuy.it ha donato 1 centesimo di euro al “Progetto Indonesia”. Se a questo, poi, seguiva anche una registrazione al sito web, la cifra incrementava di 10 volte.
L’azienda ha, infine, cercato di creare un rapporto di trasparenza con chi le ha dato fiducia, sia scrivendo direttamente sul gruppo di Facebook, sia attraverso la creazione di un minisito dedicato, dove sono stati pubblicati anche i bonifici effettuati.
La campagna ha fruttato 11 mila euro per il progetto e sicuramente un miglioramento dell’immagine percepita verso l’impresa, oltre che una diffusione del brand di entrambi gli attori in gioco.
Il caso è sicuramente di interesse per il tema trattato, ma è solo un piccolo esempio di quanto si può fare.
Infatti, in questo specifico caso si è utilizzato soltanto Facebook come social network, ma in altre circostanze, si potrebbe lavorare anche sulla creazione di contenuti fotografici, o video, ad esempio utilizzando Flickr o YouTube. Si potrebbe creare un profilo su Twitter per raccontare delle microstorie, che appassionino, che commuovano. Si potrebbe, infine, coinvolgere direttamente gli utenti nella produzione di contenuti.
Nel momento in cui l’azienda associa il proprio marchio, o uno dei suoi prodotti, al tema della solidarietà, non è difficile dunque innescare meccanismi di passaparola, soprattutto lavorando sui canali adatti per iniziare il percorso, cioè sui cosiddetti opinion leader e/o influenzatori. Da quel momento in poi, se non si è fatta una forzatura nella costruzione della partnership, saranno probabilmente gli utenti che cominceranno a diffondere i contenuti, con i mezzi che abbiamo messo a loro disposizione.
Se, poi, c’è anche una certa coerenza con il proprio business, o se c’è comunque una convergenza di valori comuni tra gli attori in gioco, che sia ben percepita dai clienti, allora si può giocare anche qualche carta in più. Spontaneità e coerenza aiutano sempre in questi casi.
Per contro, infatti, c’è proprio il rischio che l’alleanza non sia compresa ed apprezzata dai propri clienti. Se la partnership fosse vista come una “forzatura” allo solo scopo di migliorare l’immagine aziendale, il rischio di ottenere l’effetto contrario salirebbe, perché il passaparola sfocerebbe in polemiche e critiche dannose per l’impresa e, probabilmente, anche difficili da gestire in un contesto complesso come quello dei social network.
E i costi? Dipende, ovviamente, da quanto si decide di investire. Ma la strategia può essere applicata anche a costi molto contenuti. Molto spesso, indipendentemente dal budget, gli elementi che contano di più per una buona riuscita della campagna di marketing virale sono le idee giuste e la creatività.