Web Summit Day 2: Pinterest, Big Data e Brand Commerce

Dopo una cena al The Church Pub nata da un gruppo Whatsapp (iniziativa di Andrea Romoli che ringraziamo) di oltre trenta italiani tra startupper, marketer, investor e imprenditori, io e Luisa abbiamo trascorso la seconda giornata di Web Summit a Dublino.

Molti gli speech illuminanti e di valore anche in questa giornata, riprendo in questo post i tre più interessanti.

Pinterest: mission e scenari futuri

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Questa mattina Tim Kendall (General Manager di Pinterest da diversi anni) ha aperto il Marketing Summit con un interessantissimo speech in cui ha condiviso la sua visione della piattaforma, la sua evoluzione negli anni e sopratutto gli obiettivi per il futuro.

Primo punto ribadito chiaramente: “We are not a social network”, “We are a discovery tool”!
Tim Kendall ha dichiarato di avere una mission e obiettivi molto diversi da Facebook (in cui ha lavorato per anni). Facebook è user-based: le persone fondamentalmente usano usano la piattaforma per interagire tra loro. Pinterest è content-based: le persone la utilizzano per scoprire e interagire con i contenuti e con i “partner” che li condividono.

“Our mission is helping people to discover things and take actions on them”.

Se non fosse stato già abbastanza chiaro quindi, l’obiettivo di Pinterest è allo stesso tempo quello di permettere:

  • alle aziende, di ingaggiare il proprio target, di generare awareness e considerazione, ed infine di convertire e monetizzare attraverso contenuti di qualità
  • alle persone, di esplorare e scoprire i contenuti attraverso il browsing feed e/o di eseguire ricerche estremamente specifiche di contenuti definiti

 

Concretamente la mission alla base è la stessa comune ad ogni marketplace: connettere una domanda ad un’offerta.

Veniamo al modello di business: a pochi mesi del lancio dei Buyable Pins, Tim ha chiarito che Pinterest non ha alcuna intenzione di basare il proprio revenue model sulle transazioni, bensì sull’advertising (interessante il parallelismo con Alibaba ed Ebay presentato). “Aspiriamo al modello dei migliori magazine, in cui la pubblicità si fonde strettamente con il contenuto editoriale portando valore ad esso”.

Sulla base di questo chiarimento, in occasione del Web Summit T.K. ha fatto un annuncio su La novità in arrivo: nel 2016 Pinterest lancerà i Promoted Pins con un pilot in UK (in cui quest’anno la piattaforma ha raddoppiato l’audience rispetto al 2014).

La vera sfida della piattaforma che oggi ne ostacola una crescita ancora più dirompente è quella di far capire alle persone come Pinterest può essere utile a loro. Ciò è dovuto alla complessità delle dinamiche che la guidano rispetto ai canonici Social.

“Pinterest permette alle persone di scoprire cose che non sapevano ancora di amare”. Questo concetto ha permesso a Pinterest di crescere principalmente grazie al passaparola che l’ha portata a tale sviluppo e a perseguire sfide altrettanto ambiziose.

Big data, esistono davvero? C’è chi dice di no

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Oggi “Big Data” è una delle parole più spese nel mondo digital. La crescita esponenziale nella disponibilità e nella capacità di registrare grandi moli di dati è evidente, ma cosa sono esattamente i Big Data?

Prendendo spunto dal film “The Imitation Game” dedicato ad Alan Turing, questa mattina PJ Hagerty (Developer Evangelist di Jut Inc.) li ha definiti con chiarezza, e con altrettanta chiarezza ha condiviso come secondo lui di fatto non esistano.

Andiamo con ordine, i quattro principi per dire di possedere dei Big Data sono:

  • Volume: enormi moli di dati
  • Varietà: estrema diversità tra le fonti e le tipologie di dati
  • Esattezza: precisione assoluta dei valori registrati
  • Velocità: estrema rapidità nel raccoglierli

 

Nella realtà nessuna azienda ad oggi può dire con certezza che i propri dati a disposizione rispecchino contemporaneamente questi requisiti.

Ma dove sta il problema? Secondo PJ dobbiamo concentrarci sul valore dei dati già in possesso: “We don’t really need big data!”.

È importante quindi disporre di strumenti evoluti che li gestiscano (i raw data servono a poco). Pensiamo a Facebook, se continua così chiunque gestisca un account necessiterà di strumenti sempre più evoluti per trasformare i dati in iniziative di successo (vedi l’acquisizione di Atlas).

Infine secondo PJ un tema chiave è il Cloud: i dati per essere utili devono necessariamente risiedere sulla nuvola per essere quanto più rapidamente intersecati tra loro. Tenerli in scatole di metallo nel proprio magazzino per paura di perderne il controllo non permette di trasformarli in reali asset.

Brand ed e-commerce: equilibri tra canali di vendita

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Questo tema al quale sono particolarmente vicino è stato ampiamente dibattuto anche al Summit in questi due giorni. Oggi in particolare Stephen Moy (Chief Commerce Officer di Isobar), Mark Fagan (CEO di eCommera) e Han Wen (Digital & Ecommerce Vice President di Clarins Group) hanno fornito il proprio punto di vista sui vari equilibri che i brand devono governare nella gestione dei propri canali distributivi.

In generale le sfide delle aziende che hanno a che fare con strutture distributive omnicanali e globali sono:

  • Gestire la matrice multi-brand e multi-region prioritizzando le attività nei vari contesti
  • Trovare il giusto balance tra l’essere globali e attuare iniziative estremamente local
  • Gestire con efficacia ed efficienza le operation (offerta, vendita, contenuto, community tecnologia, etc)

 

Con particolare riferimento ai brand del lusso, ma più in generale a quelli caratterizzati da un forte heritage, è importante saper gestire l’innovazione prevenendo gli impatti negativi sul primo. Affidarsi alle tecnologie è un matrimonio estremamente complesso e rischioso, specie in riferimento all’eCommerce. Questa grande onda di Brand Commerce va infatti necessariamente colta, senza però mettere a repentaglio tutto ciò che si è costruito in moltissimi anni.

Un altro tema importante nella definizione della strategia di vendita è sicuramente l’equilibrio tra vendita diretta e indiretta, e quindi la capacità di sfruttare consapevolmente gli ecosistemi esterni al proprio brand. Molto spesso però capita che grandi marketplace come Asos o Zalando possiedano molto più trust da parte dei clienti fidelizzati rispetto a quello riposto nelle piattaforme degli stessi brand che vengono venduti al loro interno. Fondamentale perciò governare il fenomeno e non subirlo passivamente.

Allo stesso tempo se si vuole competere con le grandi piattaforme è necessario eguagliare la loro potenza di fuoco (budget), con l’obiettivo di ottenere lo stesso share of voice nei media e di sviluppare servizi e funzionalità avanzate tanto quanto le loro. Altro punto di vista interessante emerso a tal proposito:  non è detto che se i pure player non svolgano determinate iniziative esse non funzionino. Anzi, per guadagnare vantaggio competitivo bisogne sfruttare i pochi spazi lasciati aperti ed essere disruptive.

Infine si è discusso della competizione tra e-commerce ed i canali brick and mortar tradizionali, arrivando alla conclusione che in verità non si stanno erodendo quote a vicenda. Piuttosto vanno riconcepiti in base alle nuove aspettative delle persone che nutrono rispettivamente verso essi.

Cina e localizzazione: una prospettiva differente

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L’ultimo speech che mi ha fortemente colpito è stato quello di Yat Siu (Founder & CEO di Outblaze), tutto dedicato all’evoluzione socio-digitale della Cina.

Il primo focus è che ci sono moltissimi stereotipi pervadono la Cina e i suoi cittadini (i biscotti della fortuna? Li ha inventati un Giapponese! La salsa di soia? In moltissimi non sanno nemmeno cosa sia).

Negli ultimi 30 anni ci sono state diverse fasi nei flussi migratori.

  1. La prima è stata sicuramente quella da est a ovest, con la migrazione verso occidente di moltissimi cinesi che hanno evoluto fortemente la propria cultura e le proprie competenze grazie all’influenza di culture molto distanti dalla loro.
  2. La seconda è quella dei così detti Sea Turtle, i cinesi che una volta acquisite skills e trascorso molti anni in occidente hanno deciso di tornare in Cina importando grande innovazione, idee, ideali e quindi valore utile per sviluppare il proprio paese.

 

Il secondo focus è sul concetto di localizzazione dei prodotti digitali e delle strategie di marketing (ne abbiamo parlato molto a partire da questo post). La maggior parte dei social cinesi sono delle copie di quelli occidentali (vedi Ren Ren e Facebook, ne abbiamo parlato nel post dedicato ai Social Media in Cina): secondo Yat Siu questo è l’unico modello possibile, frutto del “western design” importato e adattato dai cittadini cinesi che sono andati all’estero nelle scorse decadi e sono tornati nel proprio paese.

Allo stesso tempo possiamo vedere trend esattamente opposti con due esempi:

  • Xiaomi (produttore nr. 1 di cellulari in Cina) ha deciso di basare il proprio OS su Android, aprendo scenari e opportunità infinite alla community occidentale di sviluppatori
  • Molte App e software in ambito gaming sono nati in Cina e hanno poi spopolato in occidente
  • WeChat è nata in Cina e ha saputo integrare in maniera estremamente innovativa piattaforme come WhatsApp, eBay, Twitter e Facebook

 

La Cina è dunque non solo un enorme opportunità di mercato, ma anche una grandissima fonte di ispirazione per nuovi modelli di business e idee innovative per tutti gli altri paesi.

Altro punto di vista interessantissimo è quello relativo allo scenario competitivo cinese in ambito digital. Oggi la competizione che le aziende cinesi devono affrontare è incredibilmente elevata. Una volta l’accesso alla rete era il fattore che limitava il loro sviluppo, oggi invece è il tempo. Per questa ragione  i player cinesi stanno cercando nuove opportunità all’estero e sopratutto in occidente (di nuovo, vedi WeChat).

Infine l’aspetto più importante di tutti per le aziende occidentali: a brevissimo la Cina diverrà la più grande english-speaking country del mondo e sarà sempre più connessa. Oggi la localizzazione delle strategie nel mercato cinese (come abbiamo discusso qui) richiede grandi sforzi ed investimenti da parte di chi vuole entrare nel mercato. A tendere però questi sforzi saranno sempre minori grazie allo shift culturale e all’occidentalizzazione che sta interessando il paese.

A domani con il Day 3!

Appuntamento a domani con l’ultimo post “a caldo” in diretta da Dublino di questo interessantissimo Web Summit 2015 (anticipazione: si parlerà principalmente di… Fashion!). Per anticipazioni seguiteci su Twitter!

5 novembre 2015 Federico Betti

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TAG: social media brand perception