Cos’è il framing effect e come influenza i comportamenti delle persone

L’informazione o la struttura che usiamo per presentare un messaggio, spesso incide sull’interpretazione del contenuto da parte dell’interlocutore. Descrizioni equivalenti della stessa situazione decisionale possono portare a differenti scelte da parte delle persone che si trovano di fronte a diverse opzioni. Esistono dei concetti applicati nel neuromarketing, che ci permettono di approfondire come le risposte ad uno stimolo possono essere drasticamente differenti a seconda di come viene comunicato un problema o del contesto all’interno del quale viene presentato.

Frame”, ovvero “cornice”, è un termine usato per esprimere il contesto all’interno del quale le persone esprimono un’idea, una domanda, una decisione. I frame catturano la nostra attenzione e direzionano le nostre interpretazioni attraverso l’enfatizzazione di certi aspetti (o al contrario con la dissimulazione di altri).

Ad esempio:

 

“Non pensate a un elefante!”

 

George Lakoff, celebre linguista cognitivo, durante una delle sue lezioni sottopose questa frase ai suoi studenti. In questo caso, non è possibile non pensare ad un elefante proprio perché questo è il frame che è stato attivato e orienta il senso della frase stessa.

Consideriamo un altro esempio. Stiamo per entrare in una gelateria con l’intenzione di gustare un frozen yogurt a basso contenuto di grassi e ci troviamo di fronte a due modalità diverse di presentazione della stessa informazione.

 

Come vi dicevo poco prima, le nostre scelte sono marcatamente influenzate dalle modalità con cui le varie opzioni sono presentate. Inevitabilmente, a causa di questo bias cognitivo chiamato framing effect, saremo più propensi a ritenere preferibile “80% fat free” rispetto al “contains 20% fat” nonostante le informazioni siano equivalenti dal punto di vista quantitativo. Il frame di riferimento infatti cambia radicalmente (“fat free” – frame positivo VS “contains fat” – frame negativo). Se da un punto di vista neurobiologico il “framing effect” resta un fenomeno associato all’attività dell’amigdala ancora ignoto nei suoi dettagli di funzionamento, la dimensione prettamente psicologica di tale effetto è apprezzabile nell’esperienza diretta ed è stata ampiamente studiata ed impiegata nelle decisioni di marketing.

 

Buy before it’s gone! Un esempio di framing effect costantemente sotto i nostri occhi

Una particolare tipologia di framing effect tutt’ora molto utilizzata è quella del buy before it’s gone, apprezzabile in Amazon Prime Day (ne abbiamo parlato qui) ed anche nei siti di prenotazione alberghi, voli, ecc.

L’idea alla base si rifà alla loss aversion, ovvero alla tendenza a considerare più rilevante una perdita piuttosto che un guadagno di pari entità. In questo senso si struttura un’esperienza di acquisto improntata sul frame specifico di una perdita che deve essere evitata a tutti i costi.

Come si vede, psicologia e User Experience uniscono le forze su più fronti. Un’interazione particolarmente proficua tra le due aree è proprio questa, l’individuazione di bias cognitivo-comportamentali alla base di alcune scelte umane, soprattutto quelle che appaiono in netto contrasto con le dimensioni “standard” della logica e della razionalità.

 

Psicologia e User experience: come possiamo individuare i bias cognitivo-comportamentali?

Alla base del processo di identificazione dei bias cognitivo – comportamentali troviamo il test di usabilità, che ci permette di comprendere come le persone che si relazionano al brand o al prodotto lo percepiscano e interagiscano con i servizi.

Capire che percezione hanno le persone di un certo elemento del sito, di una newsletter o di qualsiasi altro prodotto comunicativo, fa emergere i potenziali bias cognitivi alla base della progettazione, che possono essere eliminati o usati in modo positivo ed etico nella progettazione.

Il test di usabilità può avvalersi di diverse tecniche per rilevare l’attenzione e la percezione delle persone mentre vivono determinate esperienze, come per esempio:

  • L’eye tracking, lo strumento che utilizziamo per comprendere meglio come le persone si muovono, sia su spazi digitali sia in spazi fisici. Più precisamente, grazie a esso possiamo capire dove si soffermano di più, quali elementi attirano maggiormente la loro attenzione e quali invece vengano ignorati. Nel caso del framing effect “under time pressure”, le indicazioni che indicano i limiti d’acquisto attirano l’attenzione maggiormente di altre informazioni di prodotto e sono una delle prima cose che vengono notate.
  • Il think aloud, una pratica che utilizziamo spesso abbinata all’eye tracking. Le persone che svolgono il test di usabilità parlano con noi di ciò che vedono, pensano, provano mentre interagiscono con un prodotto o servizio digitale. Normalmente il think aloud viene messo in pratica grazie all’intervento di un moderatore del test, che assiste la persona che lo svolge e la stimola a commentare ponendole delle domande. Il compito del moderatore è anche quello di osservare chi svolge il test: postura, prossemica, espressione del viso forniscono informazioni non-verbali e para-verbali che completano l’analisi.

Integrare psicologia e user experience è alla base del nostro approccio dei metodi misti che integra test esperienziali con modelli di analisi quantitativa, al fine di ottenere una visione completa e obiettiva dell’esperienza delle persone.

Grazie alla possibilità di coinvolgere le persone negli studi riusciamo a progettare e ottimizzare l’esperienza delle persone con l’obiettivo di migliorarne il valore ascoltando e prendendoci cura dei loro portati.

13 novembre 2019 Christian Caldato

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TAG: neuromarketing eye tracking test usabilità The Sixth W approach