Nel complesso e variegato mondo dei social media, le opinioni sono facilmente polarizzabili. Quando si parla di numeri e di statistiche, ancora di più. Come si può racchiudere un’attività di comunicazione all’interno di freddi fogli Excel?, si chiedono molti. Perché non affidarsi alle corrette metriche, per valutare la suddetta attività?, diranno altri.
Ebbene, l’elevata componente di misurabilità offerta dalle piattaforme social è una dei tanti fattori di successo delle strategie social che le aziende dispiegano in questi canali. Pertanto sì, una strategia di comunicazione può essere misurata e analizzata in numeri. L’importante è scegliere correttamente le metriche di cui tenere conto.
Nella fase di costruzione della strategia che un brand andrà ad adottare sui propri canali social (Facebook, LinkedIn, Twitter, Instagram, ecc.), è fondamentale scegliere le metriche da utilizzare poi per valutare bontà e successo di questa strategia. Senza un’attenta e precisa attività di misurazione e monitoraggio, si rischiano di trascurare spunti importanti che possono risultare cruciali per correggere le tattiche in corso.
Innanzitutto, va ribadito che anche le metriche di misurazione dovranno legarsi a doppio filo agli obiettivi generali della strategia. Azioni che mirano a rafforzare la brand awareness potranno essere misurate in base a determinati parametri. Se invece l’obiettivo è quello di convertire (dalla sottoscrizione di una newsletter fino all’acquisto di un prodotto), ecco che cambiano notevolmente i criteri per valutare il successo delle azioni intraprese.
Non a caso, Facebook (e quindi Instagram) e i principali canali social consentono di attivare campagne pubblicitarie con obiettivi precisi, a cui corrispondono metriche più indicate di altre per effettuare un giudizio finale. Scegliendo di sponsorizzare un contenuto per aumentare la visibilità, le metriche da considerare saranno reach (numero di persone raggiunte) o impression (numero di visualizzazioni singole del contenuto), unitamente al CPM (cost per mille), ossia al costo per raggiungere 1.000 persone. Questi valori, assieme all’indicazione della frequenza con cui il contenuto viene sottoposto agli utenti, permettono di valutare la facilità di penetrazione del contenuto presso il pubblico individuato. Se invece il contenuto mira a portare le persone a visitare il sito del brand protagonista, il focus è tutto per il numero di click (e il CPC, cost per click) e il CTR (Click-through-rate), che indica la propensione delle persone a cliccare sul link; tutte le altre metriche, per quanto importanti e interessanti, avranno scarsa rilevanza ai fini della valutazione finale.
Quando si costruisce una strategia social è quindi consigliabile selezionare con precisione gli obiettivi che si intendono perseguire, e le relative metriche che i canali selezionati permettono di conoscere. Scegliere di variare i criteri di valutazione tra un report e l’altro non è solo dispendioso in termini di tempo: rischia anche di tradursi in un approccio erroneo, che a sua volta porterà a trarre considerazioni imprecise, imparziali o inesatte.
Quando si parla di social media e di metriche, è bene non riservare eccessivo affidamento alle cosiddette vanity metrics. Sono quelle metriche che restituiscono un apprezzamento meramente effimero dell’utente, ma che difficilmente avranno potenziali di sviluppo interessanti. O che, nel migliore dei casi, non consentono di chiarirlo con certezza.
Una delle metriche la cui importanza va tarata con maggiore consapevolezza è quella dei fan o follower. Agli albori dell’utilizzo commerciale dei social media, il numero di fan era il principale dato in grado di raffigurare una versione virtuale delle quote di mercato per un brand. E, per questo motivo, moltissime aziende hanno investito ingenti budget per anni al solo scopo di aumentare la fan (o follower) base. Più fan aveva una pagina aziendale, più elevata era la reach organica di un contenuto di quella pagina, ossia più alto era il numero di persone raggiunte anche senza investimenti pubblicitari diretti. Una tattica che ha permesso a Facebook (first mover in tal senso) di crescere a velocità esponenziale a partire dal 2007 (anno di lancio delle “fan page”). Ma che nel giro di pochi anni iniziava a ridurre i propri frutti: mediamente, solo il 16% dei fan di una pagina Facebook vedeva organicamente un contenuto nella stessa, nel 2012. Se effettuiamo un veloce fast forward, a fine 2019 questa media è scesa al 5,5%.
Pertanto, la follower base può essere considerata solo marginalmente un indicatore della crescita di una pagina aziendale (in Facebook e negli altri social media): avere tanti fan non si traduce più automaticamente nel garantire una certa quota di visibilità ai propri contenuti, per una precisa scelta degli algoritmi social. Motivo per il quale tutte le principali piattaforme social stanno “punendo” i brand che nel tempo sono ricorsi a pratiche poco ortodosse (eufemismo) per aumentare il numero di fan o follower.
Allo stesso modo, anche le metriche di interazione non vanno lette come primi timidi segnali di intenzioni d’acquisto da parte degli utenti. La componente di entertainment ricopre un ruolo significativo all’interno delle modalità d’uso dei canali social, pertanto ai like (o le reactions) non va attribuito un significato errato o gonfiato. I commenti e le condivisioni (o retweet) sono metriche che già rappresentano un’interazione più approfondita da parte dell’utente, ma anche in questo caso attribuire una sfumatura di business a questi valori sarebbe un’inutile (e pericolosa) forzatura.
Ogni metrica ha una sua precisa rilevanza all’interno di una strategia social e nella valutazione di un singolo contenuto, rilevanza che va tuttavia misurata e adattata sulla base degli obiettivi generali (la strategia, appunto) e di quelli particolari (le singole campagne pubblicitarie che le aziende intendono avviare sui canali social).