Bias cognitivi: le scorciatoie mentali che influenzano le nostre scelte

Cosa c’è dietro le decisioni, semplici e non, che quotidianamente prendiamo? Quali sono le leve che influenzano, senza che ce ne rendiamo conto, i nostri processi decisionali, dall’acquisto di un dopobarba alla destinazione delle prossime vacanze?

La risposta ha a che fare con i bias cognitivi: le scorciatoie mentali che influenzano le nostre scelte. Ogni giorno, tutto ciò che scegliamo è influenzato da processi, consci o inconsci, che il nostro cervello attiva. Diventa perciò imprescindibile, quando si progetta una qualsiasi esperienza, tenerne conto.

Cognitive biases

L’origine del bias cognitivo: partiamo dalle euristiche

È molto probabile, consideratone l’ormai ampio uso anche nella nostra lingua e in diversi contesti, che il termine “bias” non risulti poi così estraneo ai più. È altrettanto vero che la parola “bias” viene spesso utilizzata in maniera impropria, travisandone il significato. Cerchiamo quindi di fare chiarezza e capire davvero che cosa sono i bias cognitivi.

Per comprendere cosa sia e da dove si origini un bias cognitivo, è importante prima capire il funzionamento base del nostro cervello. Nella sua complessità, il cervello segue una logica semplicissima e lineare dove delle informazioni in entrata (conosciute anche con il nome di input o stimoli) vengono elaborate e successivamente usate come base per creare delle risposte (complesse o meno) che ci permettono di interagire con l’ambiente circostante. Nel fare questo, il nostro cervello, a seconda delle nostre esigenze, attua un processo di filtraggio delle informazioni, che altrimenti arriverebbero in una quantità tale da sovraccaricare l’intero sistema. Questo meccanismo di filtraggio avviene a più livelli (conscio e inconscio) attraverso il processo cognitivo dell’attenzione. Tuttavia, il processo attentivo per essere messo in atto richiede un grande sforzo in termini di energia e tempo e per questo non è sempre la miglior risposta in termini di costi/benefici. Per ovviare a questo problema, l’evoluzione ha fatto in modo che l’uomo potesse produrre delle risposte più grezze ma decisamente più rapide attraverso l’utilizzo di “scorciatoie cognitive, note oggi con il nome di euristiche.

Le euristiche, quindi, sono dei processi cognitivi che permettono di utilizzare un numero limitato di informazioni per arrivare a produrre una prima risposta cognitiva che, in caso di necessità, può essere ottimizzata successivamente. Come esseri umani usiamo queste tecniche quotidianamente ed in maniera inconsapevole ed è proprio per questo che siamo altrettanto inconsapevolmente influenzati dai bias cognitivi. Ma che cos’è, e come si passa dall’euristica al bias?

Bias cognitivo: che cos’è e come funziona?

Il termine bias, pur non avendo una chiara origine (c’è chi dice che derivi dall’inglese, chi dal francese antico “biais” e chi ancora dal provenzale), riflette un significato univoco: “una tendenza alla distorsione1, ossia una variazione rispetto ad una condizione di naturale equilibrio. Il bias cognitivo quindi non è altro che il risultato di una distorsione, di un cortocircuito, all’interno del processo euristico che ha come risultato scelte, comportamenti e giudizi erronei.  Questa distorsione, quindi, può essere di diverso tipo e di diversa origine: può infatti essere frutto di una scorretta selezione delle informazioni iniziali, oppure di un’interpretazione fallacea di queste ultime influenzata da credenze, impressioni o percezioni preesistenti nell’individuo. Possiamo quindi considerare il bias come la versione cognitiva di quella costante universale che è l’errore.

I bias cognitivi più comuni

Una delle più comuni forme di bias cognitivo presente nella nostra vita quotidiana è il cosiddetto “availability bias” o bias della disponibilità, che ci porta erroneamente a pensare che certi eventi accadano più frequentemente di quanto non succeda realmente solamente perché, per il forte impatto emotivo che hanno sulla nostra psiche, sono più facili da richiamare.2 Questo è il motivo per il quale le persone tendono a sovrastimare la probabilità di essere attaccate da uno squalo durante una nuotata, di finire vittima di un attacco terroristico andando al mercato o di avere un incidente aereo al ritorno dalle vacanze.

Un secondo tipo di bias cognitivo molto comune e allo stesso tempo molto pericoloso è il “confirmation bias” o bias di conferma. Questo tipo di bias è caratterizzato invece dalla tendenza ad attribuire un’eccessiva importanza a informazioni e stimoli che vanno a favore di quelle che sono le nostre opinioni o ipotesi a discapito di quelle che invece le invalidano o contrastano; anche quando queste sono nettamente in maggioranza. Questo tipo di bias crea quindi una sorta di cecità selettiva che induce le persone a prendere decisioni errate sulla base delle loro convinzioni.

In alcune situazioni, i bias cognitivi vengono addirittura sfruttati per trarne vantaggio; ne è un esempio l’“Halo effect” o “Halo error”. Non è un caso, infatti, che per molte campagne pubblicitarie vengano usati come testimonial personaggi famosi. L’idea alla base, usata da moltissime aziende, è quella di sfruttare l’inconscia tendenza che le persone hanno di attribuire le impressioni positive relative al soggetto in questione anche al marchio o prodotto che viene pubblicizzato, compiendo quindi una sorta di erroneo transfer qualitativo. Questo transfer ha quindi come risultato finale quello di creare un’idea distorta del prodotto, al quale verranno associate qualità positive che in realtà non potremmo fornire (almeno le prime volte) per mancanza di esperienza.

Questi sono solo alcuni dei bias cognitivi conosciuti, la lista completa è davvero vasta e non è questo il luogo per descriverli tutti. Se siete però interessati a saperne di più vi consigliamo questo link, dove troverete tutti i bias cognitivi di cui oggi siamo a conoscenza inseriti in un unico grafico che potrete usare per informarvi meglio su ognuno di essi. Ma ora andiamo avanti nella nostra indagine; abbiamo visto che questi bias sembrano essersi sviluppati come effetto collaterale di una strategia cognitiva deputata a fornirci un vantaggio: ma questo cortocircuito è una prerogativa umana? Si manifesta solamente in specie dall’alto potenziale cognitivo o abbiamo prove della sua esistenza anche in altre specie?

I bias cognitivi sono prerogativa umana?

Considerando il modo in cui l’euristica, e di conseguenza il bias cognitivo, si siano evoluti all’interno della cognizione umana è plausibile pensare che, analogamente possano essersi manifestati fenomeni simili anche in altre specie. Alcuni studi nell’ambito hanno infatti dimostrato che anche alcune specie di animali, come ad esempio cani, conigli, roditori e persino non vertebrati come le api, siano soggetti a diversi tipi di bias 3,4,5, che di conseguenza non è da considerarsi una prerogativa umana. Questa considerazione ci permette di quindi di localizzare l’insorgenza di questi processi adattivi molto addietro nella storia evolutiva. In più, continuando a seguirne lo sviluppo, è interessante osservare come non solo non sia una nostra singola prerogativa, ma che addirittura siamo inavvertitamente stati in grado di trasmetterla: è il caso delle intelligenze artificiali. Anche in questo ambito infatti sono stati riscontrati (potreste aver sentito parlare alla televisione o in qualche dibattito alla radio di algoritmi razzisti e discriminatori) casi di errori dovuti a bias presenti nei dati con cui gli algoritmi venivano addestrati e che di conseguenza hanno influenzato le loro capacità decisionali finali. Ma se il bias cognitivo è così radicato all’interno del nostro essere, è possibile contrastarlo in qualche modo?

Possiamo contrastare i bias cognitivi?

La risposta più corretta, pur non avendo dati scientifici a conferma di questo, sarebbe: “no”. No, in quanto, come abbiamo visto precedentemente, la quasi totalità di questi bias cognitivi si manifesta in maniera inconsapevole. Come potremmo quindi evitare il sorgere di un problema di cui non siamo a conoscenza?  Si potrebbe pensare di cercare di analizzare ogni problema, ogni decisione, in maniera più analitica, pragmatica, seguendo il ragionamento logico, ma anche qui l’evoluzione ci ha già fornito una sua risposta: l’euristica. L’efficienza di questi processi è così valida che, anche considerandone gli effetti collaterali, il rapporto costi-benefici gioca sempre a loro favore dato l’enorme vantaggio che questi offrono. Tuttavia, pur non potendo eleminare questo tipo di effetto collaterale che le scorciatoie mentali si portano dietro, è possibile quantomeno diminuirne l’incidenza cercando di ridurre o evitare le situazioni in cui sappiamo essere più vulnerabili e che favoriscono l’insorgenza di questi fenomeni.6

Come? Noi lo facciamo coinvolgendo le persone nelle nostre attività – che si tratti della progettazione di un’esperienza online, come un sito web o una content strategy, o di un’esperienza offline, come l’architettura informativa di spazi fisici o un test ambientale – e abbinando alle competenze verticali necessarie per il progetto un ventaglio di altre competenze che trovano radice nella psicologia e nelle neuroscienze.

Questa commistione peculiare di conoscenze, in cui da anni crediamo, ci permette di osservare e conoscere le reazioni che determinate attività possono suscitare nel cliente finale, così da raccogliere gli elementi necessari ad evitare o quantomeno ridurre l’esposizione a distorsioni dell’esperienza che possano minarne la qualità.

 

Bibliografia:

Bateson, M.; Desire, S.; Gartside, S.E.; Wright, G.A. (2011). “Agitated honeybees exhibit pessimistic cognitive biases”. Current Biology21 (12): 1070–1073. doi:10.1016/j.cub.2011.05.017PMC 3158593PMID 21636277

Burman, O.H.P.; Parker, R.M.A.; Paul, E.S. & Mendl, M.T. (2009). “Anxiety-induced cognitive bias in non-human animals”. Physiology and Behavior. 98 (3): 345–350.

Carlo Cellucci (2007). “Logica e processi cognitivi – Enciclopedia italiana Treccani, VII Appendice.

Enkel, T.; Gholizadeh, D.; von Bohlen und Halbach, O.; Sanchis-Segura, C.; Hurlemann, R.; Spanage, R.; Gass P. & Vollmayr, B. (2010). “Ambiguous-cue interpretation is biased under stress- and depression-like states in rats”. Neuropsychopharmacology. 35 (4): 1008–1015. doi:10.1038/npp.2009.204PMC 3055368PMID 20043002.

G.Haselton, M., Nettle, D., Murray, R.D.; (2015). “The evolution of cognitive bias”. The handbook of evolutionary psychology.

Soll, J.B.; Milkman, K.L.; Payne, J.W.(2015). Outsmart Your Own Biases: How to broaden your thinking and make better decisions”. Harvard Business Review.

29 aprile 2021 Luca Martorano

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